2 Maggio 2025
Il primo maggio delle imprese che soffrono: la mappa delle crisi aziendali in Italia (e i 20 mila lavoratori a rischio)


Sono diverse migliaia i lavoratori che si trovano a festeggiare il primo maggio senza la certezza di mantenere il posto di lavoro. Un’analisi delle crisi aziendali affrontate al Mimit, il ministero delle Imprese e del Made in Italy, è stata messa a punto nei giorni scorsi dal centro studi della Fiom, la categoria dei metalmeccanici della Cgil. Come si vede, gli addetti coinvolti nei principali settori sono poco meno di 20 mila. Particolarmente colpiti i settori dell’automotive, degli elettrodomestici e la siderurgia.

Più investimenti e formazione

Secondo il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, per affrontare una situazione che rischia di diventare più critica per effetto della guerra dei dazi, sarebbe necessario prima di tutto un piano pluriennale di politiche industriali per scegliere e rilanciare i settori strategici per il Paese. Ma questo sarebbe solo il primo passo. Sul fronte del personale sarebbe necessario favorire un ricambio generazionale. A fronte dell’uscita in pensione serve l’ingresso di giovani con competenze all’altezza delle nuove esigenze della produzione. «Nei settori in difficoltà e in fase di transizione sarebbe necessario attivare piani che permettano di ridurre le ore di lavoro e nello stesso tempo inserire ore di formazione per adeguare le competenze», dice il leader dei metalmeccanici della Cgil. Ultimo punto: favorire l’afflusso dei risparmio e dei capitali sull’”economia reale” che ha bisogno di investimenti per rilanciarsi.

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L’impasse sul contratto dei metalmeccanici

Ovviamente i metalmeccanici sottolineano l’impasse dovuta al mancato rinnovo del contratto. «Siamo alla 32esima ora di sciopero – fa presente De Palma -. Per affrontare la crisi servono relazioni industriali stabili, il fatto che non ci sia un tavolo di confronto è una responsabilità enorme. Sì a interventi sul cuneo fiscale, tutti gli sforzi per riaprire la trattativa vanno bene ma non vogliamo farci sostituire al tavolo negoziale». 

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