2 Maggio 2025
Primo maggio di contraddizioni – HuffPost Italia


Celebriamo il Primo Maggio con segnali contraddittori dal mercato del lavoro. Da un lato, dopo la pandemia, gli occupati sono cresciuti in numeri assoluti e percentuali come non mai e sarebbe stupido sottovalutarne il conseguente impatto positivo sulla società e sulla economia. Dall’altro, emergono fragilità quali la difficoltà delle imprese a reclutare il personale necessario e il fenomeno per cui un terzo della forza lavoro risulta inattivo perché non lavora e non cerca di lavorare.

Istituzioni e parti sociali fanno fatica a occuparsi di tutto ciò perché prigioniere di un vecchio mondo duro a morire. Gli occupati invecchiano più velocemente dell’invecchiamento della società perché il sistema educativo e formativo non prepara i giovani alla domanda interna dei lavori e i pochi che ci riescono si orientano ad andare in Paesi ove hanno meno tutele difensive ma più opportunità di crescita professionale e retributiva. In questo contesto, l’ingresso geometricamente crescente delle tecnologie intelligenti non incontra persone adeguatamente preparate e può esaltare l’area già ampia della esclusione dal mercato del lavoro.

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In Italia è poi evidentemente aperta, addirittura dal 1993, una questione salariale progressivamente aggravatasi perché legata a un modello di contrattazione centralizzata, come tale capace di determinare solo piccoli aumenti spalmati su tutti. La conseguenza principale è stata l’impoverimento del ceto medio rispetto agli anni migliori della crescita italiana quando valeva la regola del “più lavoro, più guadagno”. Ora, invece, il combinato disposto della cattiva contrattazione e della tassazione progressiva, penalizza proprio chi viene richiesto di lavorare di più e meglio.

In questo “cambio d’epoca” servirebbe una forte discontinuità nelle politiche pubbliche, cominciando dalla formazione integrale delle persone perché abbiano conoscenze, esperienze pratiche, pensiero critico. Se questa discontinuità comincia ad avvertirsi nell’istruzione, grazie alle riforme nonché al dialogo con le famiglie e con le imprese, rimangono forti le resistenze nelle università a causa dell’autoreferenzialità delle corporazioni accademiche. Con poche eccezioni per lo più concentrate nei Politecnici.

La formazione finanziata dalle Regioni risulta poi ancora gestita da enti che operano a catalogo con esiti pressoché nulli. Le stesse Regioni, con poche eccezioni, continuano ad assegnare funzioni esclusive ai centri per l’impiego invece di incentivare la concorrenza tra molti intermediari per recuperare gli inattivi e gli svantaggiati.

Le vecchie normative costruite al tempo delle produzioni seriali meriterebbero una coraggiosa rivisitazione. A partire dal pesante impianto regolatorio sulla salute e sicurezza. Il formalismo degli adempimenti burocratici dovrebbe essere sostituito dagli investimenti tecnologici, dalla formazione e dall’addestramento, dalla prevenzione non solo specifica ma anche più generalmente rivolta agli screening periodici e agli stili di vita dei lavoratori.

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Due segnali potrebbero presto incoraggiare il cambiamento. Il fallimento dei referendum “passatisti” e l’approvazione definitiva della legge sulla partecipazione dei lavoratori, vera e propria premessa per la rivoluzione dei rapporti di lavoro.



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