9 Maggio 2025
Se la prudenza diventa tossica


In un’epoca segnata da turbolenze geopolitiche, instabilità dei mercati e una coda lunga di effetti postpandemici, le imprese si trovano a un bivio esistenziale. Da una parte c’è l’abisso dell’incertezza (acuito dai conflitti, dazi, rincaro delle materie prime), dall’altra c’è la necessità vitale di trasformarsi, di innovare, di prendere iniziative. Purtroppo, la maggior parte delle aziende ha scelto una terza via: stare ferme. E questa è forse la decisione più pericolosa: nel nostro tessuto economico, oggi dominano l’attendismo e l’autoprotezione.

I board discutono di resilienza come sinonimo di difesa passiva, dimenticando che la vera resilienza è la capacità di riorientarsi in movimento, non di restare immobili sotto il fuoco incrociato della complessità. Certo, il panorama internazionale offre un contesto oggettivamente difficile, ma proprio per questo necessita di una leadership imprenditoriale che sappia osare in modo intelligente.

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I dati parlano chiaro: investimenti in R&D ai minimi, piani di espansione congelati, capitali fermi in liquidità non impiegata, politiche Hr ridotte all’osso e una generale sfiducia verso la trasformazione digitale profonda. Le imprese, oggi, non solo sono timorose: sono paralizzate da una prudenza tossica. Non a caso si parla sempre più insistentemente di strategic stagnation, un fenomeno in cui le imprese, temendo il rischio, smettono di perseguire il cambiamento e accettano il compromesso di “galleggiare”. Ma in un mercato che evolve a velocità irregolare, chi resta fermo, in realtà, arretra. Non esiste una corrente salvifica che sospinga i timidi: la concorrenza non aspetta, l’innovazione non rallenta, e i consumatori non si accontentano dell’inerzia.

L’epoca dell’azzardo cieco è finita, ma anche quella della cautela assoluta non ha futuro. I Ceo devono agire più come visionari e meno come gestori della paura e comprendere che intelligenza artificiale, sostenibilità, transizione digitale, nuovi modelli organizzativi, non sono “opzioni”, bensì doveri strategici. E le imprese devono imparare ad applicare l’analisi dei rischi non come ostacolo, ma come strumento per scegliere come rischiare, non se rischiare.



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