
Alla guida dello storico pastificio fondato nel 700 che a settembre lancia la Strapasta. E fa piani globali dagli Usa all’Asia, nonostante Trump
«I dazi di Trump? Gli Usa sono un mercato importante che vale per la nostra pasta poco sotto il 20% del venduto, e c’è preoccupazione: al timore dei dazi si unisce il fatto che il dollaro rispetto alle medie dell’anno scorso si è deprezzato. Scontiamo questo doppio effetto. Ma siamo fiduciosi, perché siamo abituati a lavorare in Italia, in zone come le nostre con tante difficoltà. E le difficoltà non ci spaventano».
L’ingegnere Massimo Menna, al timone del Pastificio Lucio Garofalo, realtà dalla storia ultracentenaria, dal 1789 a Gragnano, patria della pasta, fa piani per l’azienda di famiglia che guardano oltre Trump e le sue minacce.
«A settembre lanceremo sugli scaffali la Strapasta, nuova linea con il 50% in più di fibre e il 38% in più di proteine rispetto alla pasta integrale. E investiamo 70 milioni sullo stabilimento di Gragnano».
Il made in Italy corre nel mondo, l’export agroalimentare 2024 ha toccato quota 67 miliardi di euro, +8% in media e +18% negli Usa, dove vale 7,8 miliardi di euro, solo la pasta vale un miliardo.
«L’alimentare italiano è in grande ascesa. Ma dobbiamo stare attenti alle lotte corporative, anche se con Barilla, per esempio i rapporti sono ottimi, ognuno fa il suo lavoro pur in concorrenza. Quanto agli Usa, si vende tanta pasta e quella italiana è una nicchia di qualità. Speriamo che la richiesta del consumatore verso questo nostro prodotto non si contragga o si contragga poco per effetto dei dazi. Certo ci attendono mesi problematici, non sarà facile chiedere un aumento del 10%. E se dal 10% Trump dovesse alzare il dazio al 20% diventerebbe davvero un problema».
Il dazio al 20% porterebbe a un rincaro da 1,6 miliardi per i consumatori americani, danneggiando le imprese italiane e aiutando l’Italian sounding, dice Coldiretti. Mercati alternativi per rimediare ai danni della scure di Trump?
«Sperare nei mercati alternativi è sminuire il problema: i nuovi mercati stanno crescendo ma non possono compensare. Esportiamo il 59% del fatturato (a valore) e il 65% (a volume), in 80 Paesi. E negli emergenti l’attenzione verso prodotti di qualità, anche verso la pasta, inizia a essere evidente. Per esempio in Medio Oriente dove, dopo la moda, cresce l’interesse per cibo di qualità. Oltreoceano arriviamo in Canada, Australia, Messico, Sudamerica. In Europa siamo forti in Svizzera, Francia, Svezia. E poi nei Balcani, dalla Croazia, Slovenia, Albania. Presenti anche nel Regno Unito e fino in Islanda, la pasta italiana si mangia ovunque ormai. In Svezia abbiamo una nostra società, e siamo sugli scaffali di tutte le catene».
Quante consociate estere contate?
«C’è Garofalo Usa, Nordic ovvero Pasta Garofalo in Svezia, e Garleb, la società che segue mercati africani e Medio Oriente. L’Africa è l’altra grande prospettiva di mercato del futuro: si consuma molta pasta, anche se per quella di fascia alta come la nostra servirà ancora tempo. Poi siamo fortissimi in Spagna».
A giugno 2014 è entrato nel capitale al 52%, il gruppo Ebro Foods, multinazionale quotata a Madrid.
«Nel 2014 ho ricevuto la proposta di Ebro di entrare in società. Non pensavo di accettare, ma ho fatto la scelta giusta perché ha aiutato l’azienda a espandersi sul mercato spagnolo dove oggi facciamo grande fatturato. Ed è una società, pur quotata in Borsa, con riferimenti familiari come la nostra, dunque c’è fra noi un rapporto di famiglia. E si fidano. Risultato: Garofalo è rimasta autonoma, ma con più potenza su alcuni mercati. Si parla tanto di attirare aziende estere a investire in Italia, il nostro è un esempio: una partnership per nulla invasiva che ci ha dato forza per investimenti, acquisizioni. Il restante 48% è controllato dalla mia famiglia, e sono alla guida dell’azienda come amministratore delegato. Con i miei due figli che lavorano in azienda da alcuni anni: Anita, 34 anni, segue la parte marketing a contatto col commerciale, Stefano, 30, l’estero: l’azienda è a tutti gli effetti a gestione famigliare».
Nel Settecento, Michele Garofalo con Regio Decreto ottenne la concessione per la produzione della pasta, poiché ritenuta «di buona fattura». Nel 1997 il pastificio è passato sotto il controllo della sua famiglia, che era già nel capitale sociale dal 1952. Quali nuovi investimenti avete in programma?
«Da un anno abbiamo lanciato un piano di investimenti da 70 milioni a Gragnano dove abbiamo il nostro unico stabilimento. Investimenti per l’ampliamento di due nuove linee produttive di pasta lunga e pasta corta con i confezionamenti collegati. E anche per la realizzazione di un magazzino automatizzato da oltre 30 mila posti pallet, mentre finora ci servivamo di piattaforme terze per la distribuzione della pasta. Pasta Garofalo oggi vuole dire anche Olio Extra Vergine di Oliva con il supporto di un esperto mastro oleario, Giuseppe Ursini: un prodotto 100% italiano ottenuto da una filiera completamente tracciabile e Tanto per Cambiare, l’Atipica Cucina Italiana: Cous Cous, Bulgur e Quinoa. E soprattutto la linea dei “rossi”, dalla passata ai pelati, con Potere al Pomodoro che ha incontrato il favore dei consumatori e su questo progetto abbiamo molte aspettative: confortati dai segnali di questi primi mesi del 2025 immaginiamo di poter crescere ancora nei prossimi mesi».
Quali le dinamiche del mercato della pasta in Italia?
«Pasta Garofalo cresce perché i consumatori italiani hanno capito che con prezzo accessibile possono gratificarsi con un prodotto premium. E innoviamo: dopo lo spaghettone, a settembre lanceremo la Strapasta ovvero pasta simile all’integrale ma con più proteine e fibre, fatta al 100% di grano duro, non con piselli o altro. Al gusto è più vicina alla pasta tradizionale rispetto a quella integrale, è realizzata con Alto Grano prodotto da Molino Casillo, di cui Garofalo ha l’esclusiva».
Obiettivo di fatturato per il 2025?
«Nel 2024 abbiamo fatturato 260 milioni di euro, in crescita del 7% rispetto al 2023 con 216 dipendenti e 9 linee produttive nello stabilimento di Gragnano, dal quale escono 750 tonnellate di pasta al giorno con i marchi Garofalo e Russo di Cicciano. Pensiamo di crescere quest’anno del 5-6% e speriamo di mantenere la stessa redditività o leggermente inferiore per effetto di Mr Trump e del dollaro. Ma guardiamo al futuro con ottimismo. Anche perché abbiamo superato crisi ben più dure, come quella del caro energia e materie prime di una manciata di anni fa: adesso i dazi di Trump incidono solo sulla quota di mercato coperta dall’export americano».
Il mercato del futuro?
«La Cina, sarà questo il mercato del futuro anche per la pasta: noi ci siamo con una piccola presenza. Come in Corea del Sud, Giappone: mercato esigente che si trova bene con pasta Garofalo».
Chi ha inventato gli spaghetti, gli italiani o i cinesi? Lei è presidente del Consorzio di tutela Pasta di Gragnano Igp.
«Non lo sappiamo, ma sappiamo dove la pasta è diventata mestiere: a Gragnano, con le brezze termiche. Nel 2013 ha ricevuto il riconoscimento Igp». Dalla pasta vi siete allargati alla passata, l’olio… e poi? «Amo i biscotti, ma è un altro business. Però chissà, resta un sogno».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link