15 Giugno 2025
Conversazioni su operazioni di M&A tra PMI e fondi all’interno del nostro Progetto IN/TESI


Questa mattina abbiamo tenuto una call di allineamento con un laureando coinvolto nel Progetto IN/TESI, il nostro programma di mentorship gratuito volto a supportare studenti universitari impegnati in tesi su tematiche di valutazione d’azienda e strategie di crescita. Come spesso accade, il confronto ha offerto spunti di riflessione utili non solo in ambito accademico, ma anche per imprenditori e professionisti.

La discussione ha toccato diversi temi rilevanti connessi alla cessione e valorizzazione delle PMI italiane nel contesto delle operazioni di M&A con fondi di investimento. Tra i principali argomenti affrontati: i metodi di valutazione basati su multipli dell’EBITDA, le criticità ricorrenti nei processi di acquisizione, le strategie utili per facilitare la vendita, le differenze strutturali tra fondi e investitori tradizionali, le problematiche del passaggio generazionale, la capacità di attrarre risorse umane qualificate, il ruolo del consulente nell’allineamento degli interessi, i limiti che imprenditori e famiglie possono incontrare nel post-cessione e le possibili alternative professionali successive, come la creazione di family office.

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Si è infine discusso delle fonti utili per l’approfondimento ed abbiamo fornito qualche suggerimento sul percorso accademico e professionale.

Ne riporto una sintesi inevitabilmente sommaria (il tempo è tiranno) per imprenditori e professionisti, ma spero comunque utile a stimolare ulteriori riflessioni.

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Nel processo di valutazione delle piccole e medie imprese (PMI) da parte dei fondi di investimento, è prassi consolidata l’utilizzo di un multiplo dell’EBITDA come criterio di riferimento. Tale metodo risponde all’esigenza di standardizzare le trattative, soprattutto in contesti di acquisizioni seriali, riducendo il rischio di asimmetrie informative e salvaguardando la riservatezza del processo. Il valore del multiplo può essere oggetto di negoziazione, ma generalmente si colloca entro un intervallo definito. I fondi tendono infatti a privilegiare strutture di valutazione e schemi contrattuali standardizzati, per contenere la complessità delle trattative e prevenire dinamiche di rialzo dei prezzi in caso di acquisizioni seriali. Dal lato delle PMI, disponendo di maggiori informazioni interne, l’approccio può essere arricchito affiancando al metodo dei multipli il metodo finanziario.

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Tuttavia, in assenza di piani finanziari dettagliati, queste valutazioni si fondano prevalentemente su dati di conto economico riclassificato (NOPAT).

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Le operazioni di acquisizione da parte dei fondi di investimento possono incontrare diverse criticità che ne rallentano, rinviano o addirittura interrompono l’esecuzione. Tra le principali si annoverano i disallineamenti tra i soci dell’impresa target, ad esempio nel caso in cui uno desideri vendere e l’altro si opponga, specialmente in assenza di clausole che garantiscano l’uscita congiunta.

Ulteriori ostacoli emergono in fase di due diligence, quando vengono rilevati rischi fiscali significativi. Anche in presenza di clausole di aggiustamento, tali situazioni complicano la definizione del prezzo e incontrano spesso la resistenza del venditore, riluttante a gestire ulteriori passività post-cessione. Inoltre, i fondi operano con orizzonti temporali vincolanti: se un’operazione non può essere chiusa entro i termini prestabiliti (ad esempio, entro una data fine esercizio), l’attenzione si sposta su altre opportunità, specie in presenza di un ampio portafoglio potenziale.

Per facilitare la cessione a un fondo di investimento, una PMI dovrebbe adottare una serie di strategie volte a incrementare la propria attrattività e a ridurre le complessità del processo. In primo luogo, è essenziale aumentare la propria visibilità presso gli operatori del private equity, anche di dimensioni contenute, attraverso la condivisione di informazioni strutturate, comprensive della storia aziendale e degli elementi distintivi dell’impresa. Questo approccio consente di stimolare l’interesse dei giovani analisti dei fondi, spesso impegnati in attività di scouting ad ampio spettro, e differenziarsi rispetto ad altre realtà individuate tramite fonti standardizzate.

Un ulteriore elemento chiave è la valorizzazione degli asset immateriali – quali know-how, relazioni commerciali, marchi o tecnologie proprietarie – che rappresentano una componente crescente del valore percepito dall’investitore.

In parallelo, è fondamentale dimostrare la capacità dell’impresa di sostenere ritmi di crescita elevati supportata da un’organizzazione in grado di attrarre e integrare risorse qualificate (professionisti, ingegneri, sviluppatori). Senza un adeguato potenziale organizzativo, il rischio è quello di non riuscire a capitalizzare opportunità di mercato già presenti.

Dal punto di vista della governance, la presenza di soci allineati e di strumenti statutari o contrattuali idonei è determinante per garantire fluidità al processo di cessione.

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Parimenti, la gestione preventiva dei principali rischi fiscali e civilistici costituisce una condizione necessaria per ridurre le incertezze in fase di due diligence.

Infine, la PMI deve essere in grado di rappresentare le potenzialità di sviluppo trasversale del proprio prodotto o servizio, anche in settori adiacenti a quello di riferimento.

Questo richiede un lavoro specifico da parte del consulente, in quanto l’imprenditore tende spesso ad avere una visione più ristretta rispetto a quella adottata dagli investitori istituzionali.

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L’approccio dell’investitore professionale si distingue in modo sostanziale rispetto a quello dell’investitore tradizionale, con implicazioni rilevanti per le PMI coinvolte. Mentre l’investitore tradizionale tende a privilegiare operazioni orientate a sinergie operative e di ricavo, l’investitore professionale adotta una logica trasformativa, finalizzata alla creazione di valore attraverso strategie complesse di aggregazione e ristrutturazione settoriale.

In tale prospettiva, l’investimento non mira alla mera somma delle singole entità acquisite, bensì alla costruzione di un nuovo operatore, più competitivo e strutturato, dotato di managerialità rafforzata, capitali adeguati, network relazionali estesi e una visione strategica di medio-lungo periodo.

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Questa impostazione consente al fondo di riconoscere un valore superiore rispetto a quello attribuito da un investitore tradizionale, giustificando valutazioni più elevate. Tuttavia, comporta anche un cambiamento profondo del modello di business dell’azienda target, con un impatto diretto sulla cultura aziendale, sull’organizzazione interna e sulle prospettive di sviluppo. Molte PMI faticano a cogliere appieno la portata di questa trasformazione e mostrano una certa rigidità nell’adattarsi a dinamiche di mercato più evolute. Al contrario, il fondo dispone della capacità e delle risorse per guidare il cambiamento, ridefinendo l’identità dell’impresa in un contesto di consolidamento e innovazione settoriale.

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