19 Giugno 2025
Basta con le nostalgie solo innovazione e tech salveranno le imprese delle Marche


Prendendo spunto dalla recente presentazione del Rapporto sull’industria marchigiana da parte di Confindustria Marche questo giornale ha pubblicato diversi interventi sulla situazione e sul futuro dell’industria regionale. Lo stimolo intorno al quale si sono articolate le riflessioni è la fine del piccolo è bello e la necessità per le imprese di crescere e aggregarsi. È evidente, infatti, che i cambiamenti degli ultimi decenni hanno messo in seria difficoltà le piccole imprese. 

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La crescita possibile

Come è stato sottolineato dagli imprenditori intervenuti nel dibattito, la forza e la flessibilità delle piccole imprese manifatturiere deriva dal fatto che non operano in modo isolato, ma all’interno di reti di collaborazione. Inoltre, la dimensione dell’impresa non dovrebbe essere considerata in termini assoluti, ma messa in relazione con il contesto di mercato. Molte imprese operano in mercati di nicchia, cioè in mercati limitati per valore ed estensione geografica. Questo riduce le possibilità di crescita, ma consente di adottare strategie basate sulla differenziazione piuttosto che sulla competizione di prezzo. Detto ciò, è evidente che la piccola dimensione può diventare un handicap quando assumono rilevanza gli investimenti a monte e a valle dei processi di trasformazione: ricerca e sviluppo, marchi, reti distributive. Finora la manifattura marchigiana si è basata principalmente sulle attività di trasformazione in settori a bassa e media tecnologia, che non richiedono ingenti investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo o nel marketing. Se non vuole rassegnarsi al declino ha quindi davanti a sé due imperativi. Da una parte diversificare le produzioni verso settori a più alto contenuto di conoscenza; dall’altro elevare la capacità di innovazione negli attuali settori di specializzazione. Per procedere in modo efficace in queste direzioni non c’è solo la strada delle aggregazioni. Bisogna evitare l’errore di passare dal piccolo è bello al grande è bello. La presenza di piccole imprese è vitale per assicurare dinamismo e flessibilità al sistema produttivo. Il piccolo diventa meno bello se immaginiamo un sistema basato solo su piccole imprese. È necessaria una presenza equilibrata di grandi, medie e piccole imprese poiché ognuna svolge funzioni non surrogabili dalle altre. Non si può sostituire la capacità d’investimento di una grande impresa con tante piccole. Lo stesso vale per i modelli d’impresa. È sterile la diatriba se sia preferibile l’impresa a gestione familiare rispetto a quella manageriale. Ben vengano le imprese familiari, ma sono altrettanto rilevanti le start-up con team imprenditoriali larghi ed eterogenei o le imprese possedute da fondi d’investimento. 

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Modelli belli e brutti

Ogni modello ha pregi e difetti ed è più o meno adatto a seconda delle condizioni di mercato e delle strategie di crescita. Le start-up ad alta crescita sono basate su modelli di governance e di finanziamento completamente diversi dal tradizionale modello dell’impresa familiare. Anche in questo caso non c’è un modello bello o brutto. E il problema non è l’eccessiva presenza delle imprese familiari, ma la scarsa del sistema di sostenere altri modelli, maggiormente adatti a favorire l’innovazione e la crescita. Se è vero che non c’è un modello vincente, d’impresa o di settore, è anche vero che i modelli che hanno determinato il successo nel passato non garantiscono il successo per il futuro. Tanto più in un periodo di rivoluzione nelle tecnologie e nei mercati. È utile tenere conto della strada fin qui percorsa e richiamare le nostre radici storiche e culturali, ma non può essere una giustificazione per cercare di congelare l’esistente. Il successo non deriverà dalla fedeltà ai modelli passati ma dalla capacità di adattamento al nuovo. L’apertura al cambiamento è fondamentale per diversificare produzioni e modelli d’impresa; ed è fondamentale per trattenere e attrarre i giovani, molto più interessati al futuro piuttosto che al passato. In sintesi, adottiamo il punto di vista dei giovani per le politiche industriali e d’impresa: meno risorse per sostenere l’esistente e più risorse per l’innovazione; meno nostalgia per il passato e maggiore attenzione alle opportunità future.
 





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