28 Giugno 2025
“Fine di un incubo, ma non si può dimenticare il dolore”


Prosciolti perché il reato non sussiste. “Sono stati anni di notti insonni e angoscia. Ora la giustizia ha fatto il suo, ma non si può dimenticare il dolore”. È la fine dell’estate del 2023 quando oltre trenta imprenditori fra Terni e Perugia – la maggior parte del ternano – ricevono un avviso di garanzia per una indagine su una presunta truffa connessa alla percezione del fondo Restart, le risorse messe a disposizione dalla Regione Umbria nel 2020 per fronteggiare l’emergenza Covid 19.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il bando Restart

Il bando venne promosso all’inizio di maggio 2020 e prevedeva che, attraverso Gepafin e Artigiancassa, le “piccole e micro imprese, inclusi i professionisti e le società tra professionisti (…) costituite e operative prima del primo gennaio 2020, la cui attività” fosse “stata danneggiata dall’emergenza Covid” potessero accedere ad un finanziamento compreso tra un mino di 5mila e un massimo di 25mila euro, di cui la metà a fondo perduto, a patto che i beneficiari avessero maturato alcuni requisiti previsti dal bando. Il bando venne pubblicato l’8 maggio del 2020, il plafond a disposizione è stato portato a 28,5 milioni di euro mentre i soggetti beneficiari sono stati 913.

Chiuse le graduatorie ed erogati i fondi, uno dei soggetti indicati da Palazzo Donini come “gestore” del bando, ossia Gepafin, ha poi presentato una denuncia alla guardia di finanza con l’obiettivo di fare chiarezza sulle domande presentate e sulla effettiva veridicità dei dati dichiarati dalle imprese in fase di istruttoria.

Le accuse e la decisione

Tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2024, gli oltre trenta indagati – come detto, per lo più della provincia di Terni – ricevono l’avviso di conclusione delle indagini con la specifica delle contestazioni che vengono mosse dagli inquirenti. Nel frattempo, per inciso, il fascicolo dell’inchiesta è passato dalla procura di Terni a quella di Perugia. In particolare, vengono contestate due ipotesi di reato, ossia il tentato delitto e la falsa attestazione finalizzata all’ottenimento di contributi. Questo perché, secondo l’accusa, gli indagati avrebbero presentato “una dichiarazione contenente la falsa attestazione, al punto 10 della domanda medesima, relativa all’assenza del requisito perdita di fatturato”. Oppure avrebbero presentato una falsa attestazione “relativa alla regolarità contributiva” pur in presenza di pendenze con Inps o Inail. Il contributo non sarebbe poi stato erogato “per i controlli operati da personale della Gepafin – come riporta l’avviso di conclusione indagini – prima dell’erogazione del finanziamento”. Per due imprenditori ternani – che non hanno percepito un euro dal fondo Restart, finendo lo stesso sotto inchiesta – ora arriva la decisione del giudice per l’udienza preliminare che ha dichiarato nei loro confronti il non luogo a procedere perché il reato non sussiste.

La testimonianza

“Era la primavera del 2020. Ricordiamo per un attimo quello che stavamo vivendo, tutti, nel periodo più buio della nostra società contemporanea – raccontano ora i due imprenditori – L’Italia era piegata sotto il peso della pandemia da Covid 19, le città deserte, le imprese chiuse per

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

decreto. In questo scenario, ci trovavamo chiusi nelle nostre case, travolti da un senso di incertezza e di paura. Le nostre attività, come tante altre, erano ferme. Il futuro? Avvolto da una nebbia fitta, senza prospettive, con il timore reale di non riuscire a rialzarci. In quel momento buio, abbiamo riposto la nostra fiducia in uno strumento istituzionale. Con coraggio e speranza, abbiamo presentato la domanda, convinti di poter accedere a un aiuto legittimo per sopravvivere alla tempesta o magari rientrare nella graduatoria. Ma quel gesto di fiducia e di speranza, è stato l’inizio del nostro incubo giudiziario, con un’accusa pesantissima: falso e tentativo di indebita percezione di erogazioni pubbliche. La magistratura ipotizzava che, attraverso la domanda di finanziamento, avessimo tentato di sottrarre denaro allo Stato. Un’accusa paradossale, perché quel finanziamento, per molti non fu mai erogato. Nessuna somma pubblica è finita nelle casse delle nostre aziende. Eppure, ci siamo ritrovati a dover difendere la nostra onorabilità e la nostra libertà davanti alla giustizia”.

In questi anni, i due imprenditori hanno dovuto affrontare spese legali significative, colloqui con avvocati, consulenze, pratiche, udienze. Hanno vissuto “notti insonni” e “l’angoscia di diventare una pallina che ruota all’interno di una roulette” oltre al timore di “essere trascinati in un processo che avrebbe potuto segnare indelebilmente” la loro vita. Hanno visto la loro immagine “offuscata”, pur non avendo mai ricevuto un solo euro di denaro pubblico. “Un caso emblematico – aggiungono – dove la richiesta di un aiuto legittimo si è trasformata in un calvario processuale, senza che vi fosse alcun danno per l’amministrazione pubblica”.

“Ora, finalmente, la giustizia ha riconosciuto la verità. Il giudice per l’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a procedere perché il reato non sussiste. Le accuse, che per anni hanno pesato come un macigno sulle nostre spalle, si sono dissolte come neve nel deserto. La decisione del gup mette la parola fine a una vicenda dolorosa e ci restituisce la dignità che mai avremmo voluto vedere messa in discussione. Ma non si può dimenticare il dolore, lo stress e le difficoltà che questa esperienza ci ha inflitto, in un momento di estrema difficoltà, cercavamo solo un aiuto per non affondare”.



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