30 Giugno 2025
A Meana il primo congresso nazionale dei Paesaggi rurali storici in Sardegna


In un angolo di Sardegna dove la fatica del lavoro scava solchi profondi come i filari di vite, Meana Sardo alza i calici. Non è solo vino, quello che gorgoglia nei bicchieri: è speranza, è orgoglio, è una scommessa sul futuroe nelle sue radici. Nella Barbagia Mandrolisai che combatte lo spopolamento ha preso il via il primo Congresso nazionale dei Paesaggi Rurali Storici in Sardegna. I protagonisti? I vigneti eroici di alta collina, viti centenarie che si arrampicano su pendii impossibili, allevate ad alberello senza l’ombra di un trattore. “Eroico” non è un aggettivo poetico, qui: è un marchio tecnico, un sigillo che racconta di mani callose e gesti antichi, di bingiatteris che vinificano in cantine che sembrano uscite da un presepe.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il congresso, ospitato in questo paese di poche anime ma di grandii cuori ha messo in scena una Sardegna che ma si rimbocca le maniche. A cominciare dal sindaco Salvatore Marras e da Sebastiano Antico Congiu, primo cittadino di Oliena, con Giuseppe Melis, docente di marketing turistico all’Università di Cagliari, a fare da timoniere ai lavori. Ma è con Orazio Locci, dell’Agenzia regionale Laore, che il discorso si fa concreto: “Meana Sardo sia stato il primo comune in Sardegna, nel 2023, a ottenere l’iscrizione dei propri vigneti nel Registro nazionale dei paesaggi rurali storici”. Un traguardo che non è una medaglia da appendere al petto, ma un punto di partenza. Locci non usa giri di parole: servono finanziamenti, serve cambiare regole che obbligano i piccoli produttori a trasformarsi in aziende strutturate – un’utopia per molti – o a usare barbatelle commerciali che snaturano la biodiversità di questi vigneti. È una battaglia per l’identità, non solo per il vino.

E poi c’è Aldo Buiani, agronomo ed enologo, che parla con la passione di chi vede nei filari non solo uva, ma una storia da raccontare. Evoca il “Romanée-Conti” in Borgogna, dove una bottiglia può costare “12.000 sterline”, e lo fa per dire che il valore di un vino non è solo nel bicchiere, ma nel paesaggio, nella memoria, nelle mani che lo coltivano. Il Mandrolisai, dice, non è solo un vino: è una narrazione culturale, un’epopea di bellezza e fatica che va venduta al mondo come tale.

Mauro Agnoletti, titolare della cattedra Unesco “Paesaggi del Patrimonio Agricolo” e presidente dell’Associazione Paesaggi Rurali di Interesse Storico, alza lo sguardo oltre i confini sardi. Con la sua voce autorevole, avverte: questi paesaggi sono un patrimonio mondiale, ma rischiano di essere schiacciati dall’agricoltura intensiva, quella che trasforma la terra in una fabbrica. A Meana, invece, si parla di futuro, e lo fa anche Marco Demuru, presidente della neonata Associazione Vigneti Eroici di Meana Sardo. La sua missione? Dare voce ai piccoli produttori, quei bingiatteris che lavorano nell’ombra, e trasformarli in protagonisti di un’economia che non lasci indietro nessuno.

Gianfranca Salis, archeologa del Ministero della Cultura, tesse un altro filo: quello tra la vite e la memoria, tra i filari e i nuraghi, come se la terra di Meana fosse un libro aperto, scritto in secoli di sudore. E poi c’è Vera Rossi, dal Trentino, che porta l’esempio della Val di Cembra: un modello di come la viticoltura eroica possa diventare orgoglio e volano economico. L’assessore regionale all’Agricoltura, Gianfranco Satta, chiude con una promessa: la Regione ci sarà, con progetti educativi e intergenerazionali, per dare gambe a questo sogno.

Ma Meana non si accontenta di parole. Nel pomeriggio, il paese si è acceso: cantine aperte, degustazioni di vini che sanno di terra e storia, documentari, il Coro Mediana a intonare canti che sembrano nascere dai muretti a secco, e poi la serata con “Arrogalla e Tumbas de Gavoi” a scaldare la piazza. Una festa vera, di quelle che fanno comunità. La sfida, ora, è trasformare questo patrimonio in un futuro che si possa abitare. Servono scuole, percorsi formativi, opportunità per i giovani, perché restare a Meana – o tornarci – non sia un sacrificio, ma una scelta. In quei filari curvi come le spalle dei viticoltori c’è tutto: l’orgoglio, la memoria, la bellezza. E una speranza che non si imbottiglia, ma si passa di mano in mano, come un bicchiere di rosso. Il congresso si sposta a Oliena, per un’altra giornata di confronti e sogni. La Sardegna interna non si ferma: cammina, con i piedi nella terra e gli occhi al futuro.

 

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