
Cosa c’entra un semaforo con l’economia europea?
Sembra una domanda da bar, eppure il paragone regge. Immaginate una città piena di incroci senza semafori: tutto scorre più veloce, vero? Fino a quando non succede l’inevitabile—incidenti, ingorghi, caos. Il discorso vale anche per l’economia. Togliere troppe regole non sempre significa fare un favore alle imprese. Al contrario, si rischia di mandare tutto a sbattere.
Ecco perché oggi si parla tanto di un confine sottile: quello tra semplificare le regole e deregolare tutto.
Nessuno ama perdere ore per compilare moduli inutili. Ma attenzione: semplificare non vuol dire lasciare campo libero a chi inquina, evade o sfrutta. E qui entra in gioco l’equivoco.
Nel dibattito europeo, capita spesso che la parola “semplificazione” venga usata per proporre una cosa diversa: meno regole, meno controlli, più libertà per le imprese. Ma quella, tecnicamente, è deregolamentazione. E il conto, di solito, lo paga la collettività: meno tutela ambientale, meno sicurezza sul lavoro, meno garanzie per chi ha meno voce in capitolo.
Facciamo un esempio concreto: il panettiere e l’impresa farmaceutica
Un piccolo fornaio che vuole aprire una nuova sede in un’altra città si trova spesso bloccato da pratiche doppie, inutili e ridondanti. Ha senso aiutarlo, velocizzando le procedure e armonizzando le regole tra regioni o paesi europei.
Diverso è il caso di una multinazionale farmaceutica che vorrebbe “semplificare” l’approvazione dei propri prodotti tagliando test clinici o accorciando controlli. In quel caso, togliere regole significa abbassare la guardia, non ridurre burocrazia.
La semplificazione intelligente è una leva per far funzionare meglio il sistema, senza rinunciare agli obiettivi fondamentali: transizione verde, inclusione sociale, tutela del mercato unico.
Ma per farlo serve:
- snellire le regole, non cancellarle;
- armonizzare invece di moltiplicare vincoli nazionali diversi;
- applicare bene le direttive europee, evitando il cosiddetto “gold-plating”, cioè aggiungere obblighi nazionali che complicano tutto senza motivo;
- centralizzare i controlli, per evitare che ogni Stato vada per conto suo.
Il vero ostacolo? I compromessi politici
Il problema spesso non nasce dalle proposte iniziali della Commissione europea, ma da ciò che succede dopo: il Parlamento modifica, il Consiglio aggiunge, i governi nazionali traducono il tutto con mille eccezioni. Alla fine, la norma che doveva semplificare diventa un labirinto.
È un po’ come partire per una vacanza con una lista chiara di cose da fare, e poi ritrovarsi con ogni membro del gruppo che aggiunge la sua tappa personale. Il risultato? Un tour caotico, faticoso, e costoso.
Semplificare non è un regalo alle imprese: è un dovere per tutti
Le piccole e medie imprese—le cosiddette PMI—sono spesso le più danneggiate da regole confuse. Ma non chiedono meno regole, chiedono regole chiare. Eque. Applicate allo stesso modo da Roma a Berlino, da Lisbona a Varsavia.
Anche i cittadini hanno tutto da guadagnare da una burocrazia più snella, se questo significa meno carte da firmare e più trasparenza. Ma nessuno ha da guadagnare se, in nome della velocità, si svendono principi che l’Europa ha impiegato decenni a costruire: ambiente, diritti, concorrenza leale.
L’Europa è a un bivio. Da una parte, c’è la possibilità di costruire un mercato moderno, verde, equo. Dall’altra, la tentazione di rincorrere Stati Uniti e Cina deregolando tutto, nella speranza di attrarre investimenti facili.
Ma un continente come il nostro, che ha costruito la sua forza su valori e diritti condivisi, non può vincere abbassando gli standard. Può vincere solo alzando l’efficienza, chiarendo le regole, rendendo il gioco giusto per tutti.
In sintesi? Le regole non sono il problema. Il problema è quando non funzionano
Togliere regole non è sempre la soluzione. A volte, è l’inizio del problema.
Ciò che serve non è meno Europa, ma un’Europa che sa scrivere meglio, applicare meglio, ascoltare meglio.
Il semaforo, insomma, va tarato. Non eliminato.
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