12 Luglio 2025
Reindustrializzare per non sparire, la sfida di Orlando e Schlein: “Un piano per l’Italia contro il declino”


Un’offensiva politica e programmatica per scuotere l’Italia dal declino manifatturiero. Dal palco dell’evento del Partito Democratico “Le rotte del futuro, re-industrializzare l’Italia e l’Europa” Andrea Orlando, già ministro del Lavoro e della Giustizia e oggi responsabile del Forum Industria Pd, e la segretaria Elly Schlein lanciano muovono dall’analisi delle fragilità nazionali e dalla critica all’inerzia dell’esecutivo per prooprre una piattaforma di contenuti in grado di invertire una rotta che sta portando alla deindustrializzazione e rivendicare, come afferma Orlando, “l’ambizione di una reindustrializzazione dell’Italia e dell’Europa, perché un paese che perde la propria industria perde anche una parte rilevante della propria industriosità, del proprio saper fare”.

Una battaglia da combattere su un doppio fronte: un piano nazionale per le filiere strategiche e una nuova postura in Europa, per governare le transizioni e non subirle.

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L’ambizione di una reindustrializzazione per l’Italia e l’Europa

Il punto di partenza è un bollettino di guerra: la produzione industriale in caduta costante, con settori simbolo come l’automotive e la moda in affanno. La domanda posta da Andrea Orlando è retorica: i fondamentali dell’industria italiana sono adeguati ad affrontare le tempeste globali? La risposta è un secco no.

La proposta è quindi quella di una rottura, di una nuova visione. Per il PD una base industriale solida è la precondizione per la qualità del lavoro, la coesione sociale e la stessa sovranità economica. Non è solo una questione di PIL, ma di identità. Si tratta di decidere cosa, come e per chi produrre, rimettendo il lavoro al centro del patto democratico.

Le fragilità del sistema Italia e l’attacco al governo

L’analisi del PD mette a nudo le debolezze croniche del sistema Italia: la bolletta energetica più salata d’Europa, una crisi demografica esasperata da salari al palo che spingono i giovani qualificati a emigrare, e un’innovazione eccellente che non riesce a permeare un tessuto produttivo polverizzato.

Su questo terreno, fertile solo per il declino, si innesta l’attacco all’azione del governo Meloni, accusato di inerzia e di ricorrere a “scorciatoie elettoralistiche”. Orlando non usa mezzi termini ed elenca i capi d’accusa: la fallimentare strategia su Stellantis, lo smantellamento della chimica di base da parte di Eni con il benestare di Palazzo Chigi, l’assenza di una visione per l’edilizia e la gestione opaca della crisi dell’ex Ilva. Un insieme di azioni che, secondo l’esponente dem, sta compromettendo gravemente lo “standing industriale” del Paese.

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La critica al piano Transizione 5.0

Un affondo specifico è riservato allo strumento Transizione 5.0. Per Orlando, il piano è un’arma spuntata, “progettato ignorando la realtà produttiva italiana”. Le procedure di accesso, “complesse e costose”, hanno di fatto tagliato fuori le piccole e medie imprese, spina dorsale dell’economia nazionale.

Il risultato? Un flop: “lo strumento è stato utilizzato pochissimo“, fallendo l’obiettivo di modernizzare il sistema produttivo e lasciando le imprese più piccole al loro destino.

Le proposte del Partito Democratico: un nuovo patto tra stato, imprese e lavoro

La “pars construens” del PD si fonda su un “nuovo patto tra Stato, imprese e lavoro” per guidare le transizioni, non subirle.

I pilastri sono tre. Primo: investimenti selettivi e condizionati, concentrati su filiere strategiche. Basta aiuti a pioggia. Secondo: una nuova governance nazionale ed europea con risorse adeguate. Terzo: una “diplomazia industriale” per difendere l’autonomia strategica europea.

Su questo punto, Elly Schlein è netta, soprattutto di fronte alla minaccia dei dazi: “Più ancora della tariffa il danno lo fa l’incertezza”. Un’incertezza che, secondo i dati citati dalla segretaria, ha già spinto il 58% delle imprese italiane a ritardare gli investimenti. Schlein denuncia anche l’atteggiamento predatorio di certe multinazionali, affermando che “non è accettabile che dopo aver ottenuto sostegno pubblico si decida di portare via tutto come se fosse niente”.

Rendere la transizione ecologica socialmente desiderabile

La chiave di volta della proposta, sottolinea Schlein, è rendere la transizione ecologica “socialmente desiderabile”. Bisogna smontare la narrazione che la vede solo come un costo, perché, avverte, “è molto più alto il costo di non farla”.

La via è quella di politiche industriali che accompagnino imprese e famiglie. L’esempio è quello di un fondo per l’efficientamento energetico, perché “lavorare all’efficientamento energetico con un sostegno pubblico significa dimezzare per sempre le bollette”. È così, conclude la segretaria, “che rendi attrattiva e conveniente la transizione ecologica”.

La sfida è duplice: piano nazionale e battaglia culturale in Europa

La strategia dem si muove quindi su due livelli. A livello nazionale bisogna sfidare il governo con un piano industriale concreto.

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A livello europeo occorre battersi per una politica industriale comune e per fondi adeguati, sul modello dello strumento SURE.

Orlando accusa invece l’esecutivo di un approccio subalterno, che “mendica proroghe all’Europa anziché esigere risorse”. Eppure, è proprio l’Italia, come grande paese manifatturiero, ad avere il massimo interesse in una mutualizzazione dei costi della transizione. La conclusione di Orlando è un monito per tutta la sinistra: “Se non rappresenti qualcosa nel processo produttivo rischi di non rappresentare nulla in quello politico”. Una lezione da imparare in fretta per non essere espulsi dalla Storia.



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