14 Luglio 2025
Dazi, export a rischio fino a 50 miliardi: colpiti macchinari, automotive e farmaceutica. Confrindustria: «Trattare ancora»


Il conto tra dazi Usa al 30% e svalutazione del dollaro può arrivare a sfiorare i 55 miliardi per le esportazioni Ue negli Stati Uniti. Con l’aggravio maggiore per il settore dei macchinari e degli impianti (che possono toccare i 10 miliardi di impatto complessivo), seguiti dall’automotive (fino a 5 miliardi l’impatto), dai metalli di base e dalla farmaceutica. Ma anche per le attività manufatturiere e l’industria alimentare. È tutto in questi numeri così pesanti il motivo preciso per cui sia Palazzo Chigi che il numero uno di Confindustria, Emanuele Orsini, hanno invocato «calma» di fronte all’annuncio i dazi Usa tre volte le attese. La strada per evitarli è la trattativa a oltranza, è la tesi. Non una guerra commerciale che può portare solo danni. «Ora serve mantenere tutti la calma e avere i nervi saldi. Non possiamo compromettere i nostri mercati finanziari», dice Orsini, «È ovvio che la lettera arrivata dagli Stati Uniti è una sgradevole volontà di trattare». Su questo governo e imprese sono allineati. «Pieno sostegno agli sforzi della Commissione europea», fa sapere Palazzo Chigi. Mentre la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, di fronte all’affondo «sconvolgente» degli Usa, sventola un «restiamo pronti a continuare a lavorare per raggiungere un accordo entro il primo agosto», senza però escludere. «contromisure proporzionate, se necessario».

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LE PREVISIONI

Le imprese si sono messe subito al lavoro per stimare gli effetti possibili della bordata di Trump. Ma a fotografare bene fin dove arrivano i rischi è l’analisi elaborata dal Centro Studi di Confindustria solo un paio di giorni fa quando ancora si ipotizzava di trovare un compromesso sul 10% che poteva pesare sull’export Ue per 17 miliardi, tra nuovi dazi e svalutazione del dollaro sull’euro del 10% a inizio luglio rispetto alla media 2024, oltre all’effetto delle tariffe già in essere: 50% su acciaio e alluminio, 25% su auto e componenti e 10% sugli altri prodotti, tranne quelli esenti per ora da tariffe come i farmaci. Senza contare i 3 miliardi di incremento delle vendite ormai da dimenticare. Moltiplicato per tre queste stime si arriva a sfiorare i 55 miliardi, in attesa di elaborazioni più puntuali. Per la Cgia di Mestre, invece, solo l’effetto doganale è stimabile intorno ai 35 miliardi. Ma è evidente che l’effetto domino può arrivare ben oltre, tra ricadute in termini di calo produzione (basti pensare solo al settore auto) e degli investimenti, dice il Csc. La cosa che preoccupa di più le imprese nel medio termine è il rischio di delocalizzazione negli Usa con tanto di effetti sull’attrattività degli investimenti in Europa. Supponendo un’elasticità-prezzo della domanda pari a -1,5, ogni punto percentuale di dazio in più provocherebbe una contrazione dell’export italiano del 1,5%, avverte la Ficei, la federazione nazionale dei consorzi industriali italiani.

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DALL’ALIMENTARE ALL’AUTO

Insomma, mettendo in fila, effetti sul calo dei consumi Usa e calo dell’export, deprezzamento del dollaro che pesa sui margini di bilancio aziendali e calo della produzione e investimenti, la minaccia di Donald Trump può trasformarsi in una mazzata. Ecco perché un po’ tutti i settori, in prima fila quelli più esposti agli Usa, hanno messo in fila i numeri e chiesto all’Ue una strategia unica per scongiurare il peggio. Il peso calcolato dal comparto farmaceutico vale almeno 4 miliardi, considerando anche il cambio, dice Farmindustria. Anche per il settore alimentare la minaccia di Trump vale almeno 4 miliardi. «Ogni dazio fa male al commercio e avremmo preferito un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero: l’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese, aumentando il rischio di un calo significativo delle esportazioni, anche alla luce dell’attuale svalutazione del dollaro» per il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino. «Da oggi l’Europa non può più considerarlo un competitor, ma così diventa un nemico».

Duro il commento di Stefano Berni, direttore generale del Consorzio Tutela Grana Padano che ricorda come la filiera del formaggio Dop, che ha negli Usa il suo terzo mercato mondiale con oltre 220 mila forme esportate nel 2024, è già zavorrate da un dazio storico pari al 15%. «Con un ulteriore dazio aggiuntivo del 30% che quindi porterà quello totale al 45%, il prezzo al consumo supererà ampiamente i 50 dollari al chilogrammo (dal prezzo attuale poco sotto i 40 dollari)». Allarma anche da Coldiretti: i dazi al 30% potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro. Le tariffe aggiuntive per alcuni prodotti simbolo del Made in Italy arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate, secondo una proiezione Coldiretti.





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