
Il grano italiano si trova oggi a un bivio cruciale. Le stime di produzione per il 2025 tracciano un quadro ambivalente: se da un lato si registra un miglioramento rispetto al disastroso 2024, segnato da una siccità estrema, dall’altro le rese restano ancora lontane dalla media storica e minacciate da dinamiche economiche e climatiche sempre più sfavorevoli. A rendere ancora più precaria la situazione ci pensano prezzi al ribasso e un’invasione di grano straniero che minano la sostenibilità delle imprese agricole italiane.
Produzione di grano in crescita ma ancora sotto la media in Italia
Secondo le ultime stime diffuse da Coldiretti e Consorzi Agrari d’Italia (Cai), la produzione di grano duro per la pasta in Italia nel 2025 si attesterà intorno ai 3,7 milioni di tonnellate, mentre quella del tenero dovrebbe fermarsi sotto i 2,5 milioni di tonnellate. Sebbene il raccolto mostri un rimbalzo rispetto al 2024 — anno in cui la siccità, soprattutto nel Sud, aveva causato un vero e proprio crollo produttivo — la quantità complessiva rimane inferiore ai livelli medi degli anni precedenti.
Il dato più emblematico arriva dalla provincia di Foggia, da sempre definita il “granaio d’Italia”, che da sola rappresenta circa il 20% della produzione nazionale di grano duro. Qui, il caldo e la mancanza d’acqua hanno comportato un calo delle rese, dimostrando quanto il clima stia diventando un fattore strutturalmente limitante.
Anche in Sicilia, Molise e Basilicata, pur con qualità spesso buona o ottima, la produzione mostra segni di sofferenza. Più a nord, in regioni come l’Emilia-Romagna e il Veneto, il problema non è tanto la siccità, quanto i ristagni idrici che, combinati a condizioni meteorologiche avverse, tra caldo estremo e grandine, hanno fatto registrare cali tra il 15% e il 20% su entrambe le tipologie di grano.
Prezzi in picchiata e agricoltori sotto pressione
Se il clima rappresenta una sfida sempre più imprevedibile, i prezzi riconosciuti agli agricoltori sono un vero incubo annunciato. Secondo i dati Ismea analizzati da Coldiretti, le quotazioni del grano duro hanno registrato un calo del 13% nell’ultima settimana di giugno rispetto allo stesso periodo del 2024. Questo significa che, a fronte di costi di produzione in aumento (per carburanti, concimi, sementi, assicurazioni e manodopera), agli agricoltori viene riconosciuto un compenso sempre più esiguo.
A incidere maggiormente è la pressione delle importazioni, che da anni destabilizzano il mercato interno. Solo dal Canada, nella campagna commerciale in corso, sono arrivate quasi 800mila tonnellate di grano duro, oltre il 104% in più rispetto all’anno scorso. Il fenomeno non è nuovo, ma si acuisce proprio in prossimità della trebbiatura italiana, con l’effetto di deprimere ulteriormente i prezzi del grano nazionale.
Non va dimenticato che buona parte del grano d’importazione, pur legale, non rispetta gli stessi standard produttivi e ambientali di quello coltivato in Italia. In Canada, ad esempio, il grano viene trattato in pre-raccolta con glifosato, un erbicida vietato in Europa per i suoi possibili effetti sulla salute e sull’ambiente. Ciò pone anche una questione etica e di trasparenza: quanto sanno davvero i consumatori su ciò che finisce nei prodotti a base di grano che acquistano?
Cosa si rischia
Il sistema produttivo italiano, basato su qualità, tracciabilità e sostenibilità, rischia quindi di essere penalizzato da una logica di mercato che privilegia il prezzo più basso a scapito della qualità e della sicurezza. Questo paradosso è reso ancora più evidente dal fatto che l’Italia è il primo produttore al mondo di pasta, eppure fatica sempre più a garantire una filiera interamente nazionale, dovendo compensare il calo della produzione interna con importazioni spesso meno controllate.
Una strategia miope, che mette a rischio un settore agricolo che rappresenta migliaia di aziende, intere economie locali e una parte fondamentale della nostra identità agroalimentare. La dipendenza dalle importazioni — e dalle fluttuazioni internazionali che le accompagnano — rende il sistema vulnerabile e le aziende agricole italiane sempre più esposte a dinamiche che non controllano.
In questo contesto critico, uno degli strumenti più efficaci per proteggere il reddito degli agricoltori e la sovranità alimentare del Paese è rappresentato dai contratti di filiera. Coldiretti e Consorzi Agrari d’Italia li considerano una vera e propria ancora di salvezza, poiché consentono di stabilire fin dall’inizio della campagna un prezzo certo di acquisto, spesso superiore al valore di mercato. In alcuni casi, il prezzo riconosciuto è stato fino al 25% più alto, soprattutto per nicchie di prodotto di alta qualità come determinati tipi di grano duro.
Questi contratti, basati sulla programmazione, sul rispetto reciproco e sulla trasparenza, permetterebbero di tutelare e valorizzare la qualità italiana, assicurando anche alle aziende trasformatrici (pastifici, panifici, mulini) una materia prima tracciabile e conforme agli standard di sicurezza. Il successo di questa formula dimostra che è possibile conciliare esigenze economiche e produttive con la sostenibilità e la qualità.
Tuttavia, per sfruttare al meglio questo strumento, è fondamentale che gli agricoltori si attivino per tempo, già nella fase di pre-semina, informandosi presso i consorzi di riferimento. Il rischio, infatti, è che i volumi previsti siano esauriti rapidamente, lasciando fuori chi non ha aderito con sufficiente anticipo.
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