16 Luglio 2025
Il nanismo delle imprese e quello dell’Europa


Nel corso dell’assemblea dell’Abi, il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha rimarcato una situazione paradossale. L’inasprimento delle barriere doganali determinato dalla politica Usa di crescita dei dazi potrebbe comportare per l’area euro la perdita di mezzo punto percentuale di crescita nel triennio 2025-2027. Se, tuttavia, gli Stati membri dell’Ue si decidessero a lanciare un titolo unico europeo, la svolta si tradurrebbe in mezzo punto percentuale di riduzione del costo del finanziamento per le imprese, con investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro annui e un incremento del Pil complessivo continentale dell’1,5% annuo. Altro che dazi! La creazione di un mercato unico dei capitali trasformerebbe l’Europa da un nano politico a un gigante che potrebbe finalmente avere voce in capitolo nelle contese tra Usa e Cina.

La mancanza di questo ‘pezzo’ della costruzione europea contribuisce a generare condizioni penalizzanti. Anche nel 2024 l’area euro ha investito meno di quanto abbia risparmiato (3.200 contro 3.700 miliardi). L’inverso accade per gli Usa (5.900 miliardi in valori euro contro 4.700). Il risultato è che l’Europa esporta anche risparmio, di cui una parte cospicua va a finanziare gli investimenti statunitensi. Purtroppo, lo sviluppo del mercato dei capitali non sembra essere al centro delle attenzioni dei governi europei, dalla Germania alla Spagna alla stessa Italia, dove l’uso del Golden power denota un tendenziale dirigismo in ambito finanziario.

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Né si può imputare la contrazione del credito bancario nella Penisola alla miopia degli istituti di credito. A parte il fatto che i selettivi requisiti introdotti con gli accordi di Basilea hanno avuto un effetto benefico (in dieci anni l’incidenza dei crediti deteriorati sul totale prestiti è passata dal 6 all’1,5%), sarebbe problematico addebitare alle banche un calo di produzione industriale protrattosi per quasi tre anni. Se il credito diminuisce, insomma, dipende dalla debolezza della domanda, più che dalla sua scarsa accessibilità. Le imprese continuano a essere mediamente troppo piccole, con scarsa liquidità, un mercato dei capitali circoscritto, in cui gli strumenti alternativi al credito restano pochi e poco utilizzati.

Eurobond e incentivi alla crescita dimensionale sono, secondo logica, la strada per superare in un colpo solo il nanismo dell’Europa e quello delle imprese. La speranza è che, da Bruxelles ai governi nazionali, la sveglia avvenga prima che il lento cammino verso il declino politico ed economico del vecchio continente diventi irreversibile.

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