
Oltre otto medie imprese italiane su dieci hanno già avviato iniziative Esg, soprattutto in ambito ambientale, con azioni concrete per ridurre l’uso di fonti fossili, migliorare la gestione dei rifiuti e formare i dipendenti sulla sostenibilità. La misurazione delle emissioni di gas resta però una sfida aperta: il 62,3% delle imprese non è in grado di misurarle e solo il 40,9% ritiene realistico raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Un dato che mostra la distanza tra buone intenzioni e strategia strutturata. È quanto emerge dal rapporto “Scenario competitivo, Esg e innovazione strategica per la creazione di valore nelle medie imprese industriali italiane”, realizzato dall’Area Studi Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere, che accompagna la XXIV edizione dell’indagine annuale sulle medie imprese industriali.
Secondo il documento, che copre l’universo delle aziende tra 50 e 499 unità con dati aggiornati al 2024, il 33% delle imprese teme di subire un impatto elevato dal rischio di transizione, mentre i rischi fisici legati al cambiamento climatico sono ancora scarsamente integrati nelle valutazioni aziendali. Cresce l’impegno Esg, dunque, ma mancano misurazioni e strategie complete.
“Costi dell’energia e mismatch sono certamente un problema per le medie imprese industriali, che peraltro confermano anche quest’anno di essere un segmento altamente competitivo del sistema produttivo nazionale”, ha detto Andrea Prete, presidente di Unioncamere. “Speriamo che le incertezze del contesto internazionale non creino shock che penalizzino questi campioni del made in Italy”.
Esg: motivazioni, strategie e ostacoli
Le motivazioni alla base delle iniziative Esg sono in gran parte reattive: il 66,9% lo fa per rispondere a obblighi normativi, mentre il 52,9% punta a migliorare la propria reputazione e il 47,7% è spinto dalla visione dell’imprenditore o del top management. I progetti Esg sono finanziati principalmente con risorse proprie (90,6%), solo il 18,4% ha avuto accesso a linee di credito agevolate, mentre il 17,8% ha beneficiato di fondi pubblici statali o regionali. Questo indica una scarsa capitalizzazione delle opportunità offerte dalla finanza sostenibile o dalla programmazione europea.
Le aree di intervento più diffuse riguardano l’ambiente:
- il 67,3% ha attuato misure per ridurre l’uso di fonti fossili e passare alle rinnovabili;
- il 62% ha migliorato la gestione dei rifiuti con approcci circolari;
- il 43% ha promosso formazione interna su tematiche green.
Meno frequenti, invece, azioni su temi come l’uso sostenibile delle risorse idriche (20,9%), la riduzione degli imballaggi (36%), o l’integrazione di materie prime seconde nei processi produttivi (15,1%). Ancora marginale la mobilità sostenibile, sia per il personale (4,7%) sia per il trasporto dei prodotti (5%).
Sul piano della governance, il report evidenzia un gap comunicativo importante: il 58,4% delle imprese comunica le proprie azioni Esg solo in modo saltuario o minimale e appena il 7% pubblica un bilancio di sostenibilità. Ciò segnala una mancanza di strutturazione nella rendicontazione e una difficoltà a tradurre l’impegno Esg in strumenti chiari per stakeholder, clienti e investitori.
Transizione energetica e cambiamento climatico: due rischi ancora sottovalutati
Il 33% delle medie imprese industriali italiane dichiara di percepire un rischio “molto” o “abbastanza elevato” legato alla transizione energetica. Si tratta di un rischio connesso alla perdita di competitività, dovuta al progressivo adeguamento delle normative ambientali e agli investimenti richiesti per conformarsi agli standard europei.
Eppure, solo una su dieci (10%) integra oggi i criteri Esg nella valutazione complessiva del rischio d’impresa. Questo significa che nella maggior parte dei casi le decisioni aziendali continuano a basarsi su logiche tradizionali, senza considerare i possibili impatti — o le opportunità — legate alla sostenibilità.
Anche il rischio fisico derivante dagli effetti del cambiamento climatico è ancora poco presidiato: appena il 28,7% delle imprese ha adottato strumenti assicurativi o misure specifiche per mitigare i danni causati da eventi estremi, come siccità, alluvioni o tempeste. Questo è particolarmente rilevante considerando che oltre il 33% dei comuni in cui hanno sede le medie imprese è classificato in zona a rischio sismico, e il 7,1% in aree ad alta pericolosità idrogeologica.
Managerialità e visione strategica: il cuore della doppia transizione
Investimenti e strategie Esg da sole non bastano: serve una governance capace di integrare innovazione digitale e ambientale, osserva il Rapporto. Ma solo una media impresa su quattro ha adottato pratiche manageriali che favoriscono l’integrazione tra innovazione digitale e sostenibilità ambientale. Un dato che segnala come, nonostante gli investimenti ambientali, molte imprese non abbiano ancora sviluppato una visione integrata di Twin Transition.
Le imprese più attive in questo ambito adottano sistemi di gestione della qualità ambientale, promuovono l’uso efficiente delle risorse attraverso tecnologie digitali e rafforzano il coinvolgimento del capitale umano nei processi di cambiamento. La maggioranza non ha però ancora intrapreso percorsi strutturati che colleghino transizione ecologica e trasformazione organizzativa.
di Monica Sozzi
Copertina: Unsplash
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