
Il governo Meloni chiederà all’Unione Europea 14 miliardi di euro di prestiti dal programma «Safe» (dotazione 200 miliardi) per finanziare il mercato delle armi, senza però essere vincolata a doverli interamente.
Per il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti questi fondi sono più convenienti dei Btp e gli interessi saranno ripagati in 45 anni. Tuttavia Giorgetti non ha sciolto il vero nodo politico-economico: fare più debito per finanziare l’altra parte del progetto di riarmo europeo, quello che chiede agli stati membri dell’Ue di stanziare fino a 600 miliardi di euro.
Per un paese sottoposto a una procedura per deficit eccessivo come l’Italia la clausola che scorpora la spesa militare dal calcolo del debito è un guaio. Più volte il governo ha denunciato il rischio di essere punito dalla stessa Commissione Europea perché non osserva le rigide imposizioni del patto di stabilità. Valdis Dombrovskis, commissario Ue all’economia, ha riconosciuto il problema e ha assicurato che una qualche soluzione sarà trovata per permettere a Meloni & Co. di usare le risorse pubbliche e contribuire all’arricchimento del complesso industriale-militare euro-atlantico. Sarà un trasferimento di ingenti risorse nei bilanci degli Stati Uniti da cui anche l’industria militare europea dipende.
Quella decisa dal Consiglio dei ministri è una prima «manifestazione di interesse» che scadeva alla mezzanotte tra il 29 e il 30 luglio. Era una data non obbligatoria. Il termine ultimo è il prossimo 30 novembre. In ogni caso sono 18 su 27 paesi Ue ad avere aderito e chiesto 127 miliardi di euro del fondo: Belgio, Bulgaria, Cechia, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Finlandia. Non c’è la Germania che ha un’altra linea: rifiutare ogni forma di finanziamento comune europeo. Se lo può permettere, visto che finanzia il proprio riarmo con ingenti risorse tratte d un bilancio dove il debito è la metà di quello italiano.
Per il governo Meloni è un segnale politico al militarismo europeo, un altro modo per assicurare i partner sulla volontà di partecipare al riarmo e condividere quello che il commissario Ue per la Difesa e lo Spazio Andrius Kubilius ha definito «l’unità e l’ambizione dell’Ue in materia di sicurezza e difesa». Questi soldi andranno in particolare a pagare la costruzione delle infrastrutture «a duplice uso», cioè sia civile che militare, le capacità informatiche nella «cybersicurezza» e le cosiddette «catene di approvvigionamento strategiche».
Per Giorgetti il «Safe» è «una fonte di finanziamento alternativa per finanziare delle spese per la spesa di investimento della Difesa che in larga parte sono già previste e che sono già in itinere». Ricapitolare è utile: secondo l’Osservatorio Milex il Ministero della Difesa ha chiesto e ottenuto dalle Commissioni Difesa del Parlamento il via libera all’avvio di nuovi programmi dal valore complessivo di oltre 42 miliardi e impegni finanziari pluriennali per 15 miliardi. Sono previste somme superiori al miliardonel 2025, 2026 e 2027. I fornitori italiani sono Leonardo, Fincantieri, Iveco e Tekne, Rwm, Mbda Italia. Le tedesche Rheinmetall, Krauss-Maffei Wegmann, Grob; gli inglesi e francesi. Negli Usa: Lockheed Martin e molti altri. Poi ci sono gli israeliani Rafael, Elbit, Uvision e Elta Systems per un totale di almeno mezzo miliardo di euro.
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