2 Agosto 2025
Quello sconto del governo alle aziende che producono dispositivi medici


Si conclude con un enorme sconto alle imprese la telenovela intitolata «payback dispositivi medici» per gli anni 2015-2018. La trama è nota: dal 2015, se la spesa delle regioni per l’acquisto di dispositivi medici supera il tetto fissato dal governo in legge di bilancio, le aziende devono rimborsare la metà dello sforamento. Una misura analoga esiste per i farmaci dal 2008. Il meccanismo mira a spingere le imprese a moderare i prezzi, rendendole corresponsabili dell’efficienza della spesa.

Per il triennio in questione il calcolo corrispondeva a circa due miliardi di euro, che nel 2023 il governo Meloni aveva già dimezzato. In mezzo agli articoli del dl Economia approvato ieri in Senato compare però un nuovo sconto per le aziende: adesso dovranno pagare solo un quarto dell’importo originale (circa cinquecento milioni di euro invece di due miliardi) con accesso favorito ai prestiti per quelle rimaste senza liquidità. Chi aveva già pagato il payback a metà potrà far valere la differenza come credito sulle imposte future. A fronte del nuovo sconto, pari a circa mezzo miliardo, la legge stanzia 360 milioni di euro per la sanità pubblica da distribuire alle Regioni. Per il Servizio sanitario nazionale, dunque, si tratta di un nuovo taglio netto quantificabile in 120 milioni di euro.

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Viene così premiata la guerra di trincea condotta dalle aziende, che in questi anni hanno tentato ogni strada pur di non versare il dovuto. Tanti i rinvii chiesti e ottenuti, circa duemila i ricorsi depositati al Tar e alla Corte costituzionale, sostenendo la tesi dell’illegittimità della misura. In effetti, dopo l’introduzione del tetto di spesa nazionale fissato al 4,4% della spesa sanitaria pubblica per il periodo 2015-2018, le Regioni avevano atteso il 2019 per ratificarlo a livello regionale. Perciò le imprese hanno sempre considerato la norma ingiusta in quanto «retroattiva».

La tesi è stata respinta dai giudici di ogni livello, che invece hanno giudicato la norma sul payback «ragionevole e proporzionata». Bocciata anche la tesi della retroattività, perché la soglia era indicata già nella legge del 2015. Molte aziende però sostengono di non poter far fronte al pagamento della quota, con un conseguente rischio occupazionale. Il settore vale 19 miliardi di fatturato. È composto al 94% da piccole e medie imprese e dà lavoro a 120 mila addetti, due terzi dei quali in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Il variegato colore politico delle aree interessate ha fatto sì che trovassero sponda anche all’opposizione e nelle forze sindacali. «Sul tema del payback si è riscontrato un grande impegno da parte del governo e di tutti i gruppi politici, raggiungendo un’importante convergenza su interventi essenziali» constatala senatrice Lavinia Mennuni (Fdi), una delle relatrici del provvedimento.

Rimane irrisolta la partita per gli anni successivi al 2018. Le imprese puntano a un nuovo sconto e poi all’abolizione tout court del payback. Il governo si è già schierato con le imprese sapendo che non troverà muri sul punto. Anche il Pd ha depositato una proposta di legge per abolire il payback, incrementando però la spesa sanitaria pubblica: rinunciare al payback significa infatti aprire un nuovo buco nel Ssn.

Il dl economia adesso va alla Camera, dove le associazioni degli imprenditori più piccoli chiederanno ulteriori aggiustamenti a loro favore. «Il mancato accoglimento degli emendamenti sulla franchigia di cinque milioni e sul dilazionamento di pagamento – diceo la presidente dei fornitori ospedalieri iscritti alla Confcommercio Sveva Belviso – disattendono l’impegno manifestato al tavolo tecnico dal Mef».

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