9 Agosto 2025
Se l’innovazione resta una sfida


L'innovazione è centrale per la competitività

La relazione annuale del governatore della Banca d’Italia ha enfatizzato la centralità dell’innovazione nel contesto competitivo dei mercati di oggi. Il rapporto tra spese in ricerca e sviluppo (R&S) e Pil in Italia è 1.37% (Istat) e negli ultimi 20 anni ha oscillato tra 1.05% e 1.5%, con il picco nel 2020. Il sistema Italia è la seconda manifattura d’Europa ma spende in R&S meno della metà della prima (Germania, 3.1%) o degli Usa (3,4%).

Il gap è simile per imprese e spese pubbliche, mentre è forte il grado di contribuzione dello Stato alle spese private. Questo indice anticipa la capacità di innovazione di processi e prodotti di un sistema Paese ed è significativo sia in chiave consuntiva che prospettica. La lettura a consuntivo aiuta a capire perché negli ultimi due anni sia aumentata l’occupazione ma diminuita la produzione industriale (dopo 26 mesi consecutivi in rallentamento, vedremo se il +0.3% tendenziale di aprile segnerà un recupero strutturale).

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La conseguenza è il rallentamento della produttività del lavoro che è già un problema per l’industria italiana, se si considera che la produttività totale dei fattori misurata in termini di Valore Aggiunto per ora lavorata in 30 anni è rimasta stabile (Istat 95-24).

La produttività del capitale (cioè degli investimenti industriali) è, invece, in recupero dal 2014, direi grazie a Industria 4.0. In chiave prospettica, la differenziazione dell’offerta dovrà sostenere la competitività del nostro export nello scenario “post-dazi”.

L’impatto delle tariffe su prezzi di vendita, profitto del produttore o margini della distribuzione dipenderà infatti dall’elasticità della domanda al prezzo, quindi dai fattori distintivi del Made in Italy rispetto all’offerta domestica americana e all’import da altri Paesi. Una competizione con l’Europa per tecnologia, col Sud Est asiatico per costi e con la Cina per entrambi.

L’Italia, povera di materie prime, genera 1/3 del suo Pil dall’export perché è ricca di “saper fare” e di capitale umano. Punti di forza che rischiano di indebolirsi, con i giovani talenti che emigrano per risolvere il divario tra salari e costo della vita, il sistema formativo che tarda a riconciliare il gap tra formazione professionale e offerta di lavoro, il “quasi-flop” del programma Transizione 5.0 – con € 6.3 miliardi di stanziamenti e poche richieste – che crea discontinuità nel supporto pubblico alla digitalizzazione dei processi d’azienda.

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C’è molto da fare, nelle imprese e nel governo, per rispondere all’appello sull’innovazione e per affrontare i nuovi scenari come ci insegnava Philip Kotler: «L’unico vantaggio competitivo sostenibile consiste nella capacità di apprendere e di cambiare più rapidamente degli altri».



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