
La Regione Siciliana introdurrà esenzioni, detrazioni e deduzioni fiscali per persone e aziende che decideranno di trasferirsi sull’isola. La misura punta a favorire l’insediamento di imprese e cittadini europei ed extraeuropei attraverso agevolazioni fiscali di competenza regionale.
Il presidente della Regione Renato Schifani ha accolto con favore la novità, spiegando che servirà anche ad attrarre pensionati non residenti, «sulla scia del modello Portogallo». Il riferimento è al programma lusitano che tra il 2009 e il 2024 aveva garantito ampi benefici fiscali agli stranieri, ma che era stato interrotto a causa delle proteste per l’aumento dei prezzi delle case e per i vantaggi considerati iniqui rispetto ai residenti. Anche per la Sicilia non è ancora chiaro come saranno declinate le agevolazioni e quale impatto avranno sul mercato locale.
Con un approccio diverso ma finalità simili, il Comune di Varese ha lanciato il bando “Vieni a vivere a Varese”, rivolto ai giovani tra i 18 e i 40 anni che stipulano un nuovo contratto di lavoro in provincia e vi trasferiscono la residenza. L’iniziativa prevede un contributo a fondo perduto di 2.000 euro annui per tre anni, fino a un massimo di 6.000 euro complessivi, erogati sotto forma di voucher da spendere in beni e servizi presso attività commerciali e artigianali del territorio. Il programma, valido per il triennio 2025-2027, punta a contrastare lo spopolamento e a rafforzare l’economia locale.
Due piani, dunque, con obiettivi comuni: rendere più attrattivi territori che soffrono di calo demografico e scarsa permanenza di giovani e lavoratori. Ma misure di questo tipo possono davvero invertire la tendenza? Incentivi fiscali e bonus economici possono attrarre qualcuno, almeno nel breve periodo, ma rischiano di replicare modelli già visti – come quello delle case a 1 euro – che non hanno risolto i problemi strutturali dei territori. Più che di sgravi, i giovani chiedono mobilità, spazi di socialità, servizi di salute, occasioni di formazione e lavoro dignitoso: condizioni che permettano di autodeterminarsi e di costruire comunità.
C’è poi un altro punto critico: queste misure parlano soprattutto a chi arriva da fuori, ma poco a chi già vive in quei luoghi. Molti residenti sottolineano che sarebbe più utile rafforzare i servizi e introdurre incentivi per chi è rimasto, spesso tra mille difficoltà, piuttosto che concentrare le risorse su chi decide di trasferirsi. Senza risposte concrete per chi c’è già, il rischio è che si creino ulteriori disuguaglianze e frustrazioni. In definitiva, il problema non è convincere qualcuno a trasferirsi, ma rendere questi territori davvero abitabili e inclusivi: luoghi in cui valga la pena restare non per un vantaggio fiscale, ma per la possibilità di vivere bene e insieme.
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