21 Agosto 2025
Il falso “dottor Emilio Cavasin”: storia di un truffatore che prometteva finanziamenti europei inesistenti


Il “dottor Cavasin”, come amava presentarsi, non era un docente universitario né un esperto riconosciuto in materia di contributi comunitari. Non possedeva alcun titolo accademico né rapporti privilegiati con gli uffici di Bruxelles. Eppure, riusciva a convincere decine di imprenditori di avere accesso diretto a fondi europei a fondo perduto, indispensabili per far crescere aziende impegnate nei settori strategici del Nordest.

Il suo metodo era tanto semplice quanto efficace: apparire credibile, costruire fiducia attraverso un linguaggio forbito e un’immagine professionale impeccabile, per poi richiedere somme relativamente contenute come anticipo, somme che – in assenza di controlli immediati – molti imprenditori erano disposti a pagare pur di “non perdere il treno” dei finanziamenti comunitari.

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Questa storia, conclusasi con un’operazione della Guardia di Finanza a Osoppo, in Friuli, nel dicembre del 2014, racconta non soltanto l’attività di un truffatore seriale, ma anche la fragilità del tessuto economico locale di fronte a chi sfrutta le aspettative e le paure degli imprenditori.

Il personaggio: il “dottore” inesistente

Emilio Cavasin, 56 anni, originario di Treviso, aveva costruito intorno a sé un personaggio quasi teatrale. Si presentava in giacca e cravatta, parlava con sicurezza, ostentava competenze in economia, diritto comunitario e project management. Era in grado di citare regolamenti europei, programmi di finanziamento e perfino sigle complesse come “Eurizon 2020”, riuscendo così a disorientare chi non aveva una conoscenza diretta dei meccanismi della burocrazia di Bruxelles.

La sua forza stava nell’uso della retorica: frasi rassicuranti, numeri apparentemente precisi, riferimenti a contatti istituzionali mai esistiti. Ogni incontro seguiva un copione collaudato. Entrava in azienda come consulente, ascoltava con finta attenzione i progetti degli imprenditori, annuiva, e alla fine proponeva una “soluzione sicura”: la sua intermediazione per ottenere fondi europei a fondo perduto.

Il tutto aveva un prezzo ben definito: 1.830 euro, presentati come “quota di iscrizione della pratica”. Una cifra studiata con astuzia: abbastanza alta da sembrare credibile (una vera consulenza non può essere troppo economica), ma non così eccessiva da spingere a troppi sospetti. In alcuni casi, riusciva perfino a farsi consegnare 2.000 euro aggiuntivi per una presunta perizia dei macchinari già presenti nelle aziende.

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Il contesto: il miraggio dei fondi europei

Per comprendere il successo delle truffe di Cavasin, bisogna considerare il contesto. Nel Nordest, come in molte altre regioni italiane, l’idea di poter accedere a finanziamenti a fondo perduto provenienti dall’Unione Europea esercita da sempre un forte fascino sugli imprenditori.

La crisi economica degli anni 2008-2013 aveva messo in ginocchio molte aziende manifatturiere, in particolare nel settore siderurgico e metalmeccanico. In questo scenario, la promessa di contributi per l’acquisto di nuovi macchinari, per innovazione tecnologica o per espansione sui mercati internazionali appariva come un’ancora di salvezza.

I veri fondi europei esistono, ma richiedono iter complessi, documentazione dettagliata, tempi lunghi e, soprattutto, la mediazione di enti autorizzati. Un terreno fertile, dunque, per chi, come Cavasin, sapeva sfruttare la mancanza di informazioni precise e la fretta degli imprenditori di non “perdere l’occasione”.

dottor  Emilio Cavasin

La trappola di Osoppo

La vicenda culminante si svolge il 10 dicembre 2014 a Rivoli di Osoppo, in provincia di Udine. Qui, Cavasin aveva fissato un incontro con due aziende friulane, la Pelfa group srl e la Lmb srl, convinte di poter accedere, grazie a lui, ai finanziamenti del programma “Eurizon 2020”.

Ad accoglierlo c’erano tre amministratori e un commercialista. Quest’ultimo, in realtà, era il luogotenente della Guardia di Finanza Sergio Zucca, travestito per l’occasione. L’incontro durò un’ora e un quarto: Cavasin seguì il suo copione abituale, spiegò le possibilità di ottenere contributi, presentò la documentazione, pretese il pagamento delle spettanze.

Alla fine, intascò 1.830 euro tra contanti e assegni, rilasciando persino una ricevuta. Convinto di aver concluso un altro colpo, si avviò verso l’uscita.

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Fu in quel momento che la recita finì: i finanzieri lo bloccarono in flagranza di reato, con i soldi ancora nella valigetta. Il volto di Cavasin, raccontano i presenti, si fece improvvisamente pallido. Non tentò neppure di difendersi: nominò un avvocato e scelse il silenzio.

Le indagini: un elenco lungo cinquanta aziende

La perquisizione della valigetta rivelò l’ampiezza delle sue attività. All’interno, oltre al denaro, i finanzieri trovarono un elenco con i nomi e i numeri di circa cinquanta aziende del Nordest, tutte potenziali vittime.

Il suo schema era sempre lo stesso: proporre l’accesso a fondi europei per i settori siderurgico e metalmeccanico, chiedere un anticipo per l’iscrizione della pratica, promettere percentuali di finanziamento ingenti. In realtà, nessuna delle pratiche esisteva davvero.

Cavasin operava attraverso una società di comodo, la “Obiettivo Europa”, formalmente intestata a una dipendente di farmacia di Treviso, anch’essa presentata come “dottoressa”. La donna, emerse in seguito, era del tutto estranea alla truffa: aveva prestato inconsapevolmente il proprio nome, senza sapere come venisse usato.

Il curriculum criminale

L’arresto di Osoppo non fu il primo guaio giudiziario di Emilio Cavasin. In Veneto, la sua terra d’origine, aveva già collezionato diverse denunce per truffa, tanto da essere considerato un vero “professionista dell’inganno”.

Aveva iniziato con piccoli raggiri, spacciandosi per esperto di pratiche burocratiche o consulente finanziario. Col tempo, aveva affinato le tecniche, comprendendo che il settore dei fondi europei era il terreno ideale: un ambito complicato, poco conosciuto e ricco di opportunità di guadagno illecito.

Quando il Veneto era diventato troppo rischioso, aveva spostato le sue attenzioni in Friuli, dove era meno conosciuto e dove sperava di poter ricominciare indisturbato.

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Il modus operandi: psicologia e suggestione

Per capire il successo di Cavasin bisogna analizzare il suo modus operandi. La sua strategia era basata su tre elementi chiave:

  1. Credibilità formale: abbigliamento elegante, biglietti da visita curati, un tono di voce sicuro e professionale.

  2. Uso del linguaggio tecnico: citava regolamenti, sigle e programmi europei, confondendo l’interlocutore con dettagli che suonavano autentici.

  3. Pressione psicologica: insisteva sull’urgenza di presentare subito le pratiche, facendo credere che i fondi sarebbero terminati in pochi giorni. Questo spingeva le vittime a pagare senza prendersi il tempo di verificare.

Era un copione collaudato, frutto di anni di esperienza nel manipolare la fiducia altrui.

Il ruolo della Guardia di Finanza

L’operazione che portò alla sua cattura fu il risultato di un’indagine condotta con pazienza e discrezione dalla Guardia di Finanza di Udine. Dopo alcune segnalazioni, gli investigatori decisero di organizzare una trappola, coinvolgendo due aziende che avevano ricevuto le proposte di Cavasin.

Il luogotenente Zucca, fingendosi commercialista, partecipò all’incontro e registrò tutti i passaggi della trattativa. Solo al momento del pagamento, i finanzieri intervennero, assicurandosi che il reato fosse documentato in maniera inoppugnabile.

Il significato del caso

Il caso Cavasin non è soltanto una vicenda di cronaca giudiziaria. È il simbolo di un problema più ampio: la vulnerabilità delle piccole e medie imprese di fronte a chi sfrutta la complessità burocratica per fini personali.

Molti imprenditori, spinti dalla necessità di reperire risorse e dalla paura di restare indietro rispetto ai concorrenti, si affidano a consulenti senza verificarne i titoli o l’affidabilità. Questo apre la strada a figure come Cavasin, abili nel trasformare la speranza in guadagno illecito.

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Epilogo

Dopo l’arresto, Cavasin fu denunciato per truffa aggravata. Le indagini successive non portarono alla scoperta di documenti utili nelle sue abitazioni, segno che probabilmente operava con estrema prudenza, evitando di lasciare tracce compromettenti.

La sua carriera criminale, però, era ormai segnata: il nome del falso “dottor” finì sulle prime pagine dei giornali locali e divenne un monito per gli imprenditori del Nordest.

Conclusione: la lezione da imparare

La storia del falso “dottor Cavasin” dimostra come la combinazione di eloquenza, apparenza e conoscenza delle debolezze altrui possa generare truffe tanto semplici quanto devastanti.

Se da un lato è facile condannare il truffatore, dall’altro emerge l’urgenza di rafforzare la cultura della legalità e dell’informazione all’interno del mondo imprenditoriale. Solo verificando con rigore le credenziali dei consulenti e affidandosi a canali ufficiali si può evitare di cadere nella rete di chi, come Cavasin, ha fatto dell’inganno il proprio mestiere.



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