21 Agosto 2025
Made in Italy: arriva la certificazione ufficiale della filiera moda


ll governo italiano ha deciso di intervenire per rafforzare la tutela del Made in Italy attraverso l’introduzione di una certificazione ufficiale della filiera moda. Secondo quanto riporta MF Fashion, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha spiegato che con specifici emendamenti al disegno di legge sulle piccole e medie imprese, atteso in approvazione entro la prossima sessione di bilancio, verranno introdotte misure mirate a rafforzare la competitività e la reputazione internazionale della moda italiana. Come sottolinea il Corriere Nazionale, la novità più significativa è l’introduzione di un sistema di certificazione unica di conformità, una sorta di “bollino di garanzia” annuale soggetto a controlli periodici tramite audit e ispezioni. Al Ministero delle Imprese e del Made in Italy verrà inoltre istituito un registro pubblico delle aziende certificate, con possibilità di revoca in caso di violazioni o perdita dei requisiti. «Abbiamo predisposto misure che certifichino sostenibilità e legalità, per contrastare quei comportamenti illeciti di pochi che rischiano di compromettere la reputazione di un intero comparto», ha dichiarato Urso a fine luglio durante il Tavolo Moda, sottolineando che il risultato è frutto della collaborazione con le principali associazioni del settore, tra cui la Camera Nazionale della Moda Italiana, Confindustria Moda e Altagamma. Accanto alla certificazione, la sezione Destinazione Italia del provvedimento prevede anche misure volte ad attrarre investimenti e professionalità estere, tra cui agevolazioni fiscali per pensionati stranieri, facilitazioni per manager di imprese internazionali e nuove possibilità di visto per chi sceglie l’Italia come sede per lavorare da remoto.

Il provvedimento arriva in un momento in cui la reputazione del Made in Italy appare più fragile che mai. Negli ultimi mesi, o forse sarebbe più corretto dire nell’ultimo anno, l’intero sistema è stato travolto da critiche e scandali che hanno compromesso l’autorità (e l’autorevolezza) dell’industria. Parlare oggi di Made in Italy non significa più evocare immediatamente qualità artigianale, ma confrontarsi con un racconto fatto di inchieste giornalistiche, scioperi e accuse che hanno messo in luce le contraddizioni della filiera. Le indagini che hanno coinvolto maison come Dior, Valentino e Armani accusate di aver esternalizzato parte della produzione in condizioni opache, unite alle proteste dei lavoratori nei distretti tessili della Toscana e dell’Emilia, hanno reso evidente la distanza crescente tra il mito e la realtà. A questo scenario si aggiunge un dato ancora più delicato, come le numerose operazioni di acquisizione che, da inzio anno, hanno visto protagonisti maison estere come Chanel e LVMH. Movimenti che hanno ulteriormente alimentato i dubbi su quanto sia ancora corretto parlare di “italianità” quando si fa riferimento al Made in Italy. Non a caso, all’interno dell’industria si parla ormai di Made-in-Italy-washing, un termine che richiama il concetto di greenwashing e che denuncia l’uso strumentale dell’etichetta come leva di marketing, senza un reale radicamento produttivo sul territorio. Il disegno di legge appare dunque come una risposta necessaria, ma la domanda rimane aperta: basterà una certificazione normativa a ricostruire la fiducia dei consumatori, in un momento in cui il lusso vive una delle sue fasi di maggiore disincanto e il pubblico, alla vigilia del fashion month, sembra sempre più distante dalle narrazioni idealizzate dell’industria?

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