
Non è né corretto né giusto trattare il tema delle compensazioni legate alla riconversione dell’ex Ilva, come se si trattasse di mance assegnate dallo stato al fine d’indorare la pillola.
Esso, infatti, potrebbe concorrere a concedere a Taranto l’occasione per trasformare una vertenza industriale infinita nel banco di prova per un nuovo modello di governance territoriale condivisa.
Vi sono, in tal senso, dei precedenti che vanno richiamati e valorizzati. Negli ultimi anni, infatti, i modelli di compensazione territoriale si sono evoluti in diversi settori strategici, dalle grandi utility alle aziende energetiche.
Essi non si sono configurati più solo come indennizzi estemporanei: una strada rifatta, infrastrutture di prossimità, assunzioni temporanee per attutire le tensioni sociali, una squadra cittadina da finanziare. Hanno provato, bensì, a rappresentarsi come risorse che possano generare valore sociale, sostenere nuove filiere produttive, rafforzare i servizi pubblici. In altre parole, compensazioni intese come investimento strategico delle imprese, non come pedaggio da pagare per un’esternalità negativa.
La cornice istituzionale dell’intesa sulla decarbonizzazione raggiunta il 12 agosto a Roma va in questo senso, ponendo le basi per un patto «multilivello» tra Governo ed enti locali da sottoscrivere in autunno. E in quella sede sono state già delineate importanti misure di sviluppo per il territorio: la reindustrializzazione delle aree libere, le politiche attive per il lavoro, sanità e controlli ambientali rafforzati.
Questo «pacchetto» potrebbe estendersi anche a cultura e turismo. All’orizzonte ci sono i Giochi del Mediterraneo del 2026, un grande evento che può non solo alimentare il rilancio d’immagine della città, ma anche attrarre visitatori e capitali ben oltre il tempo della manifestazione sportiva.
Perché il modello funzioni, però, serve una pubblica amministrazione in grado di stare al passo. Il Sud, soprattutto nelle sue aree fragili e nelle periferie dei poli urbani, ha bisogno di funzionari e tecnici in grado di gestire progetti complessi: la Città dei due mari deve diventare anche la città della doppia transizione, energetica e digitale.
Servono, per questo, non solo giuristi ed economisti, ma anche ingegneri ambientali, data analyst, specialisti di intelligenza artificiale. Le compensazioni possono essere la leva giusta per agevolare questa trasformazione, finanziando programmi di aggiornamento e riconversione delle competenze amministrative a livello comunale e provinciale, sostenuti da accordi volontari pubblico-privato.
Il cosiddetto «capacity building» è un processo già sperimentato – in Italia e in diversi Paesi europei – e replicabile ovunque comunità e impresa si misurino con i costi e le opportunità di una transizione industriale.
Insomma, «ex malo bonum»: per Taranto significherebbe chiudere la lunga stagione dei compromessi al ribasso sull’ex Ilva. E il Mezzogiorno avrebbe un’opportunità in più per attrarre grandi gruppi industriali disposti a crescere insieme al territorio, non soltanto a sfruttarne risorse e ambiente.
Anche così il Sud può proporsi come laboratorio di buone pratiche partecipative dentro la più ampia piattaforma geopolitica del Mediterraneo: uno specchio concavo che rifrange tensioni globali e soluzioni locali.
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