22 Agosto 2025
AI e supply chain digitale, ecco applicazioni e rischi


Fino a poco tempo fa, per “catena di fornitura digitale” si intendeva un ecosistema fatto di ERP, gestionali, portali B2B, software di conservazione. Oggi la supply chain è diventata un sistema nervoso ipertecnologico, dove ogni anello, dal campo alla fabbrica, dallo spedizioniere al distributore, può usare, integrare o “ospitare” intelligenza artificiale. L’AI decide la priorità di un ordine, segnala una possibile rottura di macchinario, ottimizza i percorsi di una flotta o addirittura aiuta il customer care a prevedere le domande dei clienti.

Ma cosa succede se il “cervello” digitale della filiera viene ingannato, aggiorna le proprie logiche senza preavviso, o se la sua decisione si rivela fallace?
Le conseguenze si sentono subito, e spesso non è facile individuare il responsabile.

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AI nella supply chain digitale: le applicazioni

Nella logistica la gestione predittiva delle scorte e la pianificazione dinamica delle consegne si basano su algoritmi di machine learning che apprendono dai dati storici e in tempo reale. Le grandi piattaforme di e-commerce usano queste AI per evitare sovraccarichi, ma anche le PMI della filiera spesso adottano soluzioni dei propri fornitori, senza poterne verificare nel dettaglio il funzionamento o la qualità dei dati di input.

Nel settore sanitario, la corsa all’innovazione spinge molti ospedali e laboratori diagnostici a integrare piattaforme di intelligenza artificiale per il supporto alla diagnosi. Spesso queste soluzioni sono acquistate “chiavi in mano” come servizi cloud, sviluppati e gestiti da provider internazionali. L’aggiornamento automatico dei modelli, se non governato e testato localmente, può portare a situazioni paradossali: over-diagnosi o errori di riconoscimento dovuti a dati di addestramento non allineati alla popolazione italiana. La Direttiva NIS2 e il nuovo AI Act impongono (art. 21 NIS2 “Gestione dei rischi in materia di sicurezza dei sistemi informatici e di rete”, art. 50 AI Act “Obblighi di trasparenza e di informazione per i sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio”) che questi fornitori dichiarino la tracciabilità delle modifiche e dei dataset, ma nella pratica serve ancora molta maturità organizzativa per tradurre queste regole in processi effettivi.

Nella PA, l’adozione di sistemi AI per la gestione di appalti, permessi o controlli di conformità è ormai una realtà diffusa. Qui il rischio è che i modelli utilizzati, magari forniti da startup innovative o grandi integratori, non riflettano le specificità locali o i valori di imparzialità che la legge italiana (ad esempio, la L. 241/1990 e le Linee Guida AgID) richiede. Se la logica di scoring di un algoritmo penalizza un’impresa solo perché su un social sono state pubblicate lamentele poco verificabili, il danno può essere molto concreto e difficile da contestare.

In tutti questi esempi, il filo rosso è la difficoltà di controllo e la responsabilità diffusa: senza un audit trail robusto, la filiera rischia di diventare una scatola nera in cui l’errore di uno solo si ripercuote su tutti.

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Rischi specifici: bias, blackout e shadow AI

L’uso dell’AI in filiera apre quindi la porta a rischi nuovi e spesso sottovalutati. Uno dei principali è il bias algoritmico: quando il modello usato dal fornitore è addestrato su dati non rappresentativi, il rischio di discriminazione o inefficienza può propagarsi, in modo silenzioso, lungo tutta la supply chain. Pensiamo a un fornitore di componenti elettronici che usa AI per classificare i difetti di produzione. Se il modello è addestrato su dati esteri e non tiene conto delle specificità delle linee italiane, aumentano gli scarti, si rallenta la produzione e si rischia di mandare in crisi la logistica dei clienti downstream.

Un altro rischio è quello dei blackout decisionali. Un modello AI non testato su scenari locali o condizioni estreme può “andare in tilt”, generando errori a catena: scorte sbagliate, diagnosi errate, allarmi di sicurezza che non scattano o, viceversa, falsi positivi che paralizzano la filiera. La normativa NIS2, proprio per questo, impone (artt. 21-23) simulazioni di crisi e piani di resilienza, obbligando aziende e fornitori a dimostrare di poter rispondere rapidamente agli incidenti, anche quando originati da AI esterne.

C’è poi il fenomeno emergente della shadow AI: soluzioni e modelli adottati dai fornitori senza che il committente ne sia pienamente informato. Succede più spesso di quanto si pensi, specie con l’esternalizzazione crescente di processi “data-driven”. La shadow AI sfugge ai controlli di governance, non rispetta le policy aziendali, e in caso di incidente genera una spirale di “scaricabarile” tra committente, fornitore e vendor tecnologico. L’AI Act e le linee guida ISO/IEC 42001 ribadiscono il principio che la trasparenza e la tracciabilità devono riguardare tutti gli algoritmi in filiera, non solo quelli sviluppati in casa.

Norme e standard per la trasparenza della filiera

Il quadro regolatorio europeo e italiano è oggi molto chiaro e stringente.
La Direttiva UE 2022/2555 (NIS2), impone di adottare misure di gestione dei rischi informatici anche lungo la supply chain. Questo si traduce nell’obbligo di mappare, valutare e monitorare i fornitori, prevedere audit regolari, segnalare incidenti che coinvolgano componenti digitali e garantire la continuità dei servizi.
Il già citato art. 21 sottolinea che le aziende devono “valutare e gestire i rischi associati alla sicurezza della catena di approvvigionamento”.

Il Regolamento UE 2024/1689 – AI Act introduce il principio di responsabilità condivisa tra produttori, integratori e utenti di sistemi AI, anche quando i modelli sono forniti come servizio da terzi. Gli articoli 24, 28 e 50 prevedono obblighi di trasparenza, controllo sulla documentazione tecnica, tracciabilità delle modifiche e auditabilità dei processi AI anche nelle filiere estese.
Viene richiesto di documentare chi ha sviluppato, testato, aggiornato il modello e di mantenere sempre la capacità di risalire a ogni versione e ogni incidente rilevante.
Per le PA, la legge 241/1990 aggiornata e le recenti Linee Guida AgID in tema di automazione e algoritmi sottolineano l’obbligo di motivare, documentare e rendere trasparenti i processi decisionali automatizzati anche quando si utilizzano soluzioni di terzi.

Il GDPR (Reg. UE 2016/679), con particolare attenzione agli articoli 28 e 32, impone a chi trasferisce dati nella filiera di verificare chi è responsabile e come vengono protetti i dati, anche nei flussi automatizzati o quando i fornitori adottano AI per i trattamenti.
A livello di standard internazionali, la ISO/IEC 42001:2023 fornisce le linee guida più aggiornate per la gestione e il governo dei sistemi AI, mentre la ISO/IEC 27036 si concentra sulle relazioni di sicurezza con i fornitori. La ISO 9001 mantiene il suo ruolo di riferimento per la qualità dei processi anche nelle supply chain automatizzate.

Strumenti, policy e audit

Il governo della supply chain AI inizia da una mappatura sistematica: occorre chiedere a ogni fornitore quali modelli AI vengono utilizzati, per quali processi, con quali dati di addestramento, e quali procedure sono in atto per il monitoraggio, la manutenzione e l’aggiornamento. Alcune aziende italiane hanno avviato veri e propri “AI inventory”, archivi interni condivisi tra IT, compliance e operation, che permettono di visualizzare, anche graficamente, dove si annidano i modelli e come fluiscono i dati.

Sul piano contrattuale, la sfida è passare da SLA generici a policy specifiche sull’AI: ogni nuovo contratto deve contenere obblighi precisi di notifica per ogni update significativo dei modelli, la possibilità per il cliente di partecipare o assistere agli audit tecnici, e la garanzia di trasparenza sui dati di addestramento, come previsto da AI Act art. 50 e dalla normativa NIS2. Le aziende più mature coinvolgono anche il proprio DPO e i responsabili di sicurezza per valutare a monte l’impatto privacy e cyber di ogni nuova integrazione algoritmica.

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Sul fronte operativo, l’audit algoritmico sta diventando un rituale essenziale, come già lo sono gli audit qualità e sicurezza. Si parte dalla verifica della documentazione tecnica e delle changelog, si passa a simulazioni di stress e incidenti (ad esempio blackout di dati o inserimento di input anomali), si analizzano i report periodici forniti dal partner e si incrociano con le segnalazioni dei clienti finali. Una pratica sempre più diffusa è il “tabletop exercise”, una simulazione guidata di incidente che coinvolge tutte le funzioni aziendali (IT, legal, supply chain, vendor) e permette di testare la reazione coordinata e il flusso delle informazioni.

Checklist operativa

  • Mappare e documentare le AI presenti nella filiera (direttamente o tramite fornitori), identificando modelli, dati e responsabilità.
  • Pretendere e contrattualizzare la trasparenza sui cambiamenti: aggiornamenti algoritmici, incidenti, anomalie devono essere notificati tempestivamente.
  • Verificare i dati di addestramento e i processi di retraining: fondamentale per la prevenzione di bias e per la sicurezza.
  • Pianificare audit congiunti e simulazioni di crisi come richiesto da NIS2 e best practice AI Act.
  • Definire escalation, remediation e gestione della responsabilità tra partner, in linea con GDPR e le ultime direttive europee.

Il futuro dell’Ai nella supply chain digitale

Il futuro della supply chain è intelligente, distribuito e, per sua natura, interdipendente. In un contesto dove AI e automazione sono sempre più pervasive, il vero vantaggio competitivo non sarà solo la rapidità nell’adozione di nuove tecnologie, ma la capacità di governare, auditare e coordinare tutti i soggetti coinvolti.

La normativa europea è già molto chiara: non si può più delegare “alla cieca”, né addossare la responsabilità a un algoritmo sviluppato da altri. Ognuno, dalla multinazionale al piccolo fornitore locale, è chiamato a fare la propria parte in termini di trasparenza, tracciabilità e collaborazione.

Investire in governance della supply chain AI non è solo una risposta a NIS2, AI Act e GDPR, ma un modo concreto per ridurre i rischi di interruzione, migliorare la qualità dei servizi e rafforzare la reputazione. La sfida non è soltanto tecnica, ma anche organizzativa e culturale: servono skill nuove, alleanze tra IT, legali, operation, procurement, e soprattutto la volontà di condividere dati, errori, successi e “lesson learned”.



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