22 Agosto 2025
“Ora lavorare sulle esenzioni”. Meloni e Macron asse sul vino


da Roma

«Non è il punto di arrivo ideale o finale». Ne è ben consapevole Giorgia Meloni, tanto da metterlo nero su bianco in una nota di Palazzo Chigi. Ma che Europa e Stati Uniti abbiano formalizzato la dichiarazione congiunta che di fatto ratifica l’accordo siglato lo scorso 27 luglio in Scozia da Ursula von der Leyen e Donald Trump è comunque un importante passo avanti. Perché, è il ragionamento della premier, «fornisce finalmente al mondo imprenditoriale un quadro chiaro del nuovo contesto delle relazioni commerciali transatlantiche», sventando il rischio di una guerra delle tariffe che sarebbe stata ben più dolorosa, visto che secondo le stime di Bruxelles sono oltre 5 milioni i cittadini europei che lavorano nelle catene produttive con gli Stati Uniti. Non è un caso che Raffaele Fitto, vicepresidente della Commissione Ue con delega a Coesione e Riforme, sottolinei come l’intesa garantisca «prevedibilità per le nostre imprese e i nostri consumatori e sicurezza per milioni di posti di lavoro». Il non detto è una riflessione che si fa in queste ore tra Palazzo Chigi e i vertici dell’Ue. E cioè che con questo accordo per le imprese europee sarà comunque più conveniente spalmare il contraccolpo dei dazi piuttosto che – come voleva Trump – spostare negli Stati Uniti intere filiere produttive, processo lungo e costoso.

Microcredito

per le aziende

 

E di particolare importanza, sottolinea Meloni, è «il carattere onnicomprensivo della tariffa orizzontale del 15%», che «include il settore dell’auto e i settori strategici tuttora sotto indagine da parte statunitense» ex sezione 232 del Trade Expansion Act, quindi farmaceutici, semiconduttori e legname. Così come decisiva è considerata «l’esenzione per settori quali aeronautica, farmaci generici, principi attivi e precursori chimici».

Ma che il bicchiere sia anche mezzo vuoto non è un mistero. Se la riduzione al 15% dei dazi su automobili e parti di automobili è una buona notizia, le tariffe al 15% sui prodotti agroalimentari senza alcuna esenzione rischiano di far perdere oltre 1 miliardo di euro alla filiera del cibo Made in Italy, con vino, olio, pasta e comparto suinicolo tra i più colpiti. In questo settore, per altro, non aiuta la combinazione tra dazi al 15% e dollaro debole, che rende ancora più pesante il contraccolpo. Un problema che hanno chiaro sia a Palazzo Chigi che nei governi dei Paesi leader del settore, a partire dalla Francia. Non è un caso che Roma e Parigi abbiano recapitato a Washington una proposta condivisa: se anche il vino rientrasse nelle esenzioni, Italia e Francia sarebbero pronte a investire negli Stati Uniti sul fronte della promozione dei prodotti vitivinicoli. «Insieme alla Commissione Europea e agli altri Stati membri – spiega Meloni – restiamo impegnati per incrementare ulteriormente nei prossimi mesi, come previsto dalla dichiarazione congiunta, i settori merceologici esenti, a partire dall’agroalimentare». «L’accordo lascia aperta la possibilità di ulteriori esenzioni, in particolare per il settore dei vini e degli alcolici», dice il ministro al Commercio francese Laurent Saint-Martin. Sull’alluminio, invece, Roma si muove d’intesa con Berlino ipotizzando un doppio regime di tariffe a seconda delle dimensioni della produzione (dazi al 25-30% per piccole e medie aziende, al 50% per i grandi esportatori).

Insomma, allontanata la guerra commerciale e stabilizzata la tregua delle tariffe, l’intenzione dell’Ue e dei principali Paesi europei è quella di lavorare a «nuove esenzioni». Su cui si è preferito non insistere adesso per evitare che Trump potesse rigettare l’accordo.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Ma il fatto che sia stata introdotta una clausola specifica sulla possibilità che in futuro le parti possano considerare ulteriori esenzioni lascia qualche margine di manovra. Perché, spiega il vicepremier Antonio Tajani che ieri ha riunito alla Farnesina la task force sui dazi, «questa intesa non è un punto di arrivo», ma «un primo passo».



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