23 Agosto 2025
Bologna, il rettore Molari: «Università più internazionale e aperta alle aziende del territorio. Nuovi studentati nel 2027, i corsi in inglese non sfavoriscono le iscrizioni di italiani»


di
Marina Amaduzzi

Giovanni Molari a novembre inizia l’ultimo biennio del suo mandato: «Vorrei consolidare le tante cose fatte e i cantieri avviati». Ateneo alle prese con oltre 3300 iscritti ai corsi di Medicina, quest’anno i primi laureati in Romagna

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Il 2 novembre inizia il quinto anno da rettore, il penultimo per Giovanni Molari. «In questi due anni vorrei consolidare le tante cose messe in campo, vorrei terminare i tantissimi cantieri partiti in questi anni», dice. Nell’attesa, tra le prime prove dell’avvio dell’anno accademico, ci sarà il test del nuovo corso di Medicina, con sbarramento al termine del primo semestre.

Rettore, partiamo da qui: è preoccupato?
«Ci siamo impegnati per garantire la maggior qualità possibile delle attività didattiche previste dal nuovo assetto. Abbiamo attivato un gruppo di lavoro per prevedere tutti i possibili problemi organizzativi».




















































Qual è il dato finale degli iscritti?
«In tutto sono 3.348. A Medicina e chirurgia di Bologna sono 2.036, a Odontoiatria Bologna 181, a Medicina Veterinaria a Ozzano 522, a Medicina Forlì 433, a Medicina Ravenna 165».

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Un bel numero da gestire, tutte lezioni online nel primo semestre?
«Alcune attività saranno in presenza, con un sistema di rotazione. Sono convinto che quando una legge viene approvata dal Parlamento bisogna fare il massimo per applicarla, i miei commenti su Medicina li ho fatti due anni fa. Obiettivo del nostro Ateneo è far sì che le attività si svolgano nella maniera migliore possibile».

Medicina in Romagna come sta andando?
«Siamo al sesto anno, quest’anno si laureano i primi. La realizzazione della parte clinica ci ha posto problemi inediti di grande portata perché bisognava predisporre dei percorsi formativi nelle strutture dell’Ausl di Romagna dove la presenza universitaria era molto contenuta. Con la collaborazione dei Comuni, delle Fondazioni, delle aziende e dei dipartimenti universitari siamo riusciti ad organizzare una rete di docenti e di strutture cliniche di altissima qualità, con risultati molto buoni sulla qualità della formazione e anche con un radicamento dell’attività di ricerca. I numeri sono cresciuti: eravamo partiti da 90 iscritti per ogni sede e siamo arrivati quest’anno a 180, che era il nostro obiettivo».

Studentati: nuove aperture?
«Le aperture principali sono nel 2027. Entro la primavera del 2026 apriremo l’ultimo pezzo del Baricentro, quello di via San Giacomo, 22 posti in più. Per la fine del 2026 dovrebbe essere pronta l’Osservanza di Imola con 51 posti. Nel 2027 il Lazzaretto 382 posti, il Battiferro 131 posti, San Giuseppe Sposo in via Bellinzona 89 posti».

A proposito di lavori, il famoso nido aziendale che doveva essere realizzato in via Filippo Re?
«È un progetto superato».

Sempre più corsi di laurea in inglese: c’è il rischio di perdere studenti italiani?
«Sono due cose scollegate. Aumentare i corsi in inglese rende il nostro Ateneo sempre più internazionale e attrattivo, gli studenti italiani si iscrivono anche a questi corsi. Studiare in inglese significa acquisire competenze disciplinari in una lingua riconosciuta in tutto il mondo, poi molti dei nostri corsi in lingue inglese prevedono percorsi doppio-congiunti con titoli validi in altri Paesi».

Fondi dal ministero, dopo quelli legati al Pnrr?
«È arrivato il momento di stabilizzare quanto fatto. Quest’anno c’è stato un aumento del Fondo di finanziamento ordinario, anche se non sappiamo ancora la quota parte per Unibo. La preoccupazione maggiore adesso è cercare di capire come portare a regime le fondazioni che sono state istituite con il Pnrr, come condividere le strumentazioni acquisite, come mettere a fattor comune tutte le infrastrutture realizzate».

Tasse studentesche: sarà necessario qualche ritocco?
«Ogni anno le abbiamo abbassate un po’, ora non è la nostra priorità, perché credo che sia più importante puntare ai servizi. I conti si faranno comunque con il bilancio, tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo».

Si parla insistentemente di un coordinamento delle attività sanitarie interaziendali da affidare a Chiara Gibertoni, la direttrice generale del Sant’Orsola. Cosa ne pensa?
«Mi sono sempre espresso a favore di un maggior coordinamento delle attività sanitarie a Bologna per avere maggiori risultati a livello assistenziale, maggiori occasioni per la formazione, per la ricerca, per tutto il sistema sanitario bolognese. Abbiamo una cospicua presenza di strutture universitarie nell’area metropolitana, la scelta di soluzioni organizzative da parte della Regione deve essere condivisa con l’Università e la Regione ha già manifestato questa intenzione. Su questo siamo perfettamente allineati. È noto che la conferma di Chiara Gibertoni alla direzione del Sant’Orsola sia stata fortemente voluta dall’Università, e che abbiamo rapporti molto buoni con tutti i direttori generali. Detto ciò non spetta all’Università esprimersi sui candidati che la Regione vuole mettere in ruoli istituzionali del servizio sanitario».

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Rapporti con le imprese: c’è qualche nuovo accordo?
«Stiamo lavorando a nuovi accordi-quadro. Il primo, che porteremo agli organi a settembre, è quello con Cnh, Case New Holland, leader nella produzione di macchine agricole. Stiamo lavorando con Marchesini, con Vetiver, una multinazionale che fa gruppi di continuità per i Data Center con 27 mila dipendenti di cui 600 a Bologna, con Hera, Philip Morris e Tetrapak».

Con una mozione Unibo ha condannato l’escalation militare di Israele a Gaza: timori di un clima difficile al rientro?
«Siamo tranquilli, abbiamo pochi rapporti con Israele, più che altro di mobilità, con la mobilità che però è bloccata».

Rettore, ha ancora due anni di mandato: quali sono le sue priorità?
«Rendere l’Ateneo sempre più internazionale, potenziare l’attività didattica innovativa, terminare i cantieri, rilanciare i musei in particolare quello di Palazzo Poggi, aprire la Biblioteca Eco nella prima metà del 2026. E definire nuovi assetti di collaborazione tra il servizio sanitario e l’Università con la condivisione di decisioni sulle reti assistenziali».

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