
L’Università degli studi di Napoli Parthenope, con la sua storia legata al mare e la capacità di rinnovarsi, è al centro di una riflessione più ampia sul futuro della formazione e delle opportunità per i giovani del Mezzogiorno. Ne abbiamo parlato con il rettore Antonio Garofalo, che ha analizzato criticità e prospettive del sistema universitario campano, mettendo in luce dati e proposte concrete.
Rettore Garofalo, cosa l’ha colpita maggiormente dell’editoriale del direttore Napoletano con cui ha esortato i giovani a restare e investire a Napoli?
«Mi sono rivisto pienamente in quelle parole, soprattutto nell’appello ai giovani. È vero che la mobilità verso l’esterno resta significativa, ma stiamo assistendo a un’inversione di tendenza. Per anni il Sud ha subito una doppia perdita: da un lato i laureati che partono per l’estero, dall’altro quelli che si spostano al Centro-Nord. Secondo i dati Almalaurea 2024, oltre il 30% dei laureati campani ha lasciato la regione entro tre anni dall’acquisizione del titolo. È un impoverimento grave. Tuttavia, si intravedono segnali positivi, come una crescita dell’occupazione regionale superiore alla media nazionale».
In questo quadro, quali soluzioni concrete immagina?
«Occorre costruire un ecosistema attrattivo e dinamico, capace di trattenere e valorizzare i talenti. Penso a partenariati formativi regionali nei settori strategici: digitale, green, turismo, sanità. Questi percorsi devono essere co-progettati tra università e imprese, andando oltre i comitati di indirizzo tradizionali. Le imprese lamentano carenze di competenze, e il nostro compito è colmare questo divario. Proporrei anche un osservatorio campano dei talenti, per mappare i nostri laureati eccellenti in Italia e all’estero e favorire il matching con le nostre aziende. Inoltre, è fondamentale estendere i dottorati industriali con incentivi alle piccole e medie imprese».
Il suo ateneo è storicamente legato al mare. Quanto conta oggi l’economia marittima per il futuro della Campania?
«L’economia del mare pesa per circa il 4% del PIL nazionale e ha un valore aggiunto altissimo. Secondo l’Osservatorio nazionale, ogni euro investito produce 1,8 euro a livello di sistema, che nel Mezzogiorno scendono a 1,6 a causa delle criticità logistiche. È un settore in controtendenza: cresce anche quando altri rallentano. In Campania sono localizzate 33 mila imprese del comparto, metà del totale nazionale. È chiaro che rappresenta una grande opportunità per i giovani, in particolare nelle filiere innovative legate alla sostenibilità, come l’eolico offshore e le energie marine. Alla Parthenope abbiamo corsi di laurea dedicati e un’occupabilità molto alta per i nostri studenti».
Eppure resta il problema del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro.
«È il classico mismatch, un tema che accompagna da sempre il mercato del lavoro. In Campania ci sono opportunità reali, ma spesso i giovani non le intercettano. Il nostro compito è agevolare l’incontro, con attività di placement e iniziative con le imprese. Ma anche i ragazzi devono essere più determinati nel proporsi. Le aziende ci chiedono laureati, c’è fame di giovani competenti. Non bisogna pensare che l’unica strada sia andare via. Soprattutto senza guardarsi intorno».
Un elemento di crescita del suo ateneo è l’internazionalizzazione: quanto sta incidendo?
«Moltissimo. Abbiamo attivato corsi interamente in inglese, pensati inizialmente per i nostri studenti, che invece attraggono anche tanti stranieri. Solo per Economia aziendale in inglese abbiamo ricevuto oltre mille domande in due anni. Molti candidati vengono da Paesi extraeuropei, non senza difficoltà burocratiche sui permessi di soggiorno, ma è un segnale molto importante perché stanno preferendo noi ad altre realtà accademiche. E ciò si riflette sui nostri numeri: la Parthenope è cresciuta del 30% negli ultimi cinque anni, passando da 11 mila a 15 mila studenti. E i nostri risultati nella ricerca sono riconosciuti: siamo primi al Centro-Sud per qualità scientifica».
Di recente avete investito anche in ambito sanitario.
«Sì, due anni fa abbiamo avviato il corso di Infermieristica e da quest’anno Medicina e Chirurgia con 88 posti. È una scelta di responsabilità: sappiamo che molti giovani campani sono costretti a spostarsi o a rivolgersi a università private con costi elevati. Offrire nuove opportunità pubbliche significa ridurre diseguaglianze e trattenere competenze preziose sul territorio. Anche perché, senza questi giovani, può crearsi un depauperamento demografico».
Che già è in atto.
«Esatto. Siamo di fronte a un inverno demografico che riguarda tutto il Paese. La Campania, pur avendo la percentuale più alta di giovani, registra una natalità tra le più basse d’Italia. È un paradosso che nel medio periodo creerà un problema di forza lavoro. Per questo guardo con attenzione al ponte naturale con il Nord Africa: lì ci sono energie e risorse che possono integrarsi con il nostro tessuto produttivo. Parallelamente, serve aumentare l’occupazione femminile, ancora troppo bassa, che da sola potrebbe già compensare parte della carenza».
C’è un messaggio che vuole lasciare agli studenti campani che guardano al futuro con incertezza?
«Che in Campania esistono opportunità concrete. Le università hanno il dovere di orientare e accompagnare i giovani, ma anche loro devono crederci. Non devono scoraggiarsi se le prime porte restano chiuse, devono insistere. Le imprese hanno bisogno di loro e l’università ha il compito di creare le condizioni per far incontrare domanda e offerta. La sfida è restare, costruire qui, e dimostrare che il Mezzogiorno non è condannato a perdere i suoi talenti».
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