
Qualche tempo fa, intervistato da AgroNotizie®, avevo auspicato che il “Piano di azione per il miglioramento della qualità dell’aria” approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 20 giugno fosse permeato dal buon senso. Purtroppo così non è stato e la pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale n° 178 dello scorso 2 agosto ha confermato i rumors che anticipavano il divieto di utilizzo dell’urea. Rispetto alla prima bozza, è stata accolta la richiesta della Conferenza Unificata Stato-Regioni di far partire il tutto solo dal 1° gennaio 2028 quando si dovranno applicare i nuovi programmi di sviluppo rurale 2028-2034.
Il piano è articolato in cinque ambiti di intervento: uno trasversale, tre tematici ed uno complementare. Per ciascun ambito di intervento sono individuate specifiche azioni operative, il numero 2 (tematico) riguarda l’Agricoltura e l’azione 1 interviene sul “Divieto Utilizzo Urea”. I due ministeri referenti (Mase e Masaf) hanno adesso 6 mesi di tempo per adottare una proposta condivisa inerente il divieto, esclusivamente per le Regioni del bacino padano, di impiegare l’urea a partire dal 1° gennaio 2028.
La richiesta fa esplicito riferimento al termine “divieto” anche perché il tutto è collegato ad incentivare l’impiego dei “fertilizzanti organici (digestato agrozootecnico e agroindustriale ai sensi del decreto ministeriale n. 5046/2016, reflui zootecnici e biochar) e dei fertilizzanti di sintesi chimica alternativi“.
Sorgono spontanee alcune riflessioni che possono essere anche temi di approfondimento quando (nelle prossime settimane) i ministeri coinvolti dovranno iniziare a lavorare sulla proposta.
Una prima doverosa considerazione riguarda la zona soggetta al divieto. Considerando che la finalità del piano è la “qualità dell’aria” e che l’urea siede al banco degli imputati principalmente per le emissioni di ammoniaca, non si capirebbe il motivo del divieto solo nelle Regioni del bacino padano se non per il diretto collegamento con l’uso di fertilizzanti alternativi che proprio in pianura Padana soffrono di enorme surplus. Sembra quindi più un incentivo all’impiego di prodotti che continuano a trovare mille difficoltà applicative piuttosto che uno sforzo volto a limitare le emissioni di ammoniaca in atmosfera. Né possiamo sottovalutare la ricaduta ambientale su suoli che, in particolare nel bacino padano, sono quasi tutti da considerare vulnerabili ai nitrati e che proprio la UE ha bocciato l’idea italiana di considerare il digestato zootecnico equiparabile ai concimi chimici. Di conseguenza restano i limiti d’impiego imposti dalle misure nazionali relative alla Direttiva Nitrati.
A questo punto vale la pena soffermarsi sulla parte di natura prettamente legale all’origine dell’intera delibera. Nei consideranda iniziali si legge subito che la norma serve per scongiurare sanzioni da parte della Commissione europea visto che l’Italia è in procedura d’infrazione per la non corretta applicazione della direttiva 2008/50/Ce ma si leggono anche le motivazioni (tra l’altro della Corte di giustizia dell’Ue) ed è evidente che le emissioni di ammoniaca non rientrano certo tra quelle oggetto dei numerosi rilievi mossi all’Italia. Ancora una volta c’è da chiedersi quali sono i veri motivi all’origine dell’accanimento contro l’impiego dell’urea che, lo ricordiamo, è al primo posto tra i concimi chimici di sintesi utilizzati dagli agricoltori italiani. Ci sembra anche il caso di ricordare che la Direttiva 2024/2881/Ue, da recepire entro l’11 dicembre 2026 e che, da quella data, abrogherà le direttive 2004/107 e 2008/50, non contiene nessun esplicito riferimento all’urea ma solo all’inquinante ammoniaca che, paradossalmente, origina anche dagli allevamenti zootecnici che alimentano i digestori.
La proposta che i ministeri elaboreranno deve inevitabilmente entrare in dettaglio su cosa si considera “urea”. La superficialità con cui il legislatore nazionale usa questo termine (si veda ad esempio la norma relativa all’ecotassa) può aprire spiragli a fantasiose interpretazioni da parte sia degli utilizzatori (Padani e non) sia quando il legislatore stesso si troverà ad affrontare casi concreti. La recente delibera tratta il termine in maniera generica e non ci è dato di capire, ad esempio, se si riferisce al tipo di concime previsto nell’allegato 1 al punto 2.1.17 del Decreto legislativo 75/2010 che disciplina i fertilizzanti nazionali oppure alla sostanza chimica denominata “urea” individuabile dal numero CAS 57-13-6. Un esempio pratico ci può aiutare a capire le differenze e l’importanza di specificare bene il campo d’applicazione del divieto. Il concime minerale semplice “urea”, individuato appunto dal Dlgs 75/2010, è quasi inesistente sul mercato italiano e nel registro nazionale Sian si trovano solo 10 prodotti commercializzati da 7 fabbricanti. Il 99% degli operatori vende l’urea a marchio Ce e, in questo caso, non esiste la denominazione del tipo che ci fa immediatamente risalire alla sostanza chimica urea, né si può sottovalutare il fatto che l’urea si può sciogliere in acqua, miscelare ad altri concimi azotati così come usare come materia prima per la produzione di concimi composti NPK e di organo-minerali, nella maggior parte di questi casi potrebbe non esserci alcun richiamo alla presenza di urea nel concime utilizzato.
Infine ci preme sottolineare la strana linea temporale che emerge da un’attenta lettura dei vari dispositivi. Il piano dura 24 mesi, entro il primo agosto 2027 si può al massimo rinnovarlo per altri 2 anni e, cosa auspicabile, se ne può disporre la revisione o l’aggiornamento. Visto che il divieto scatterebbe il primo gennaio 2028 e che, a prescindere dai prossimi 180 giorni concessi ai ministeri per adottare norme (teoricamente non più vincolate ai 24 mesi del piano stesso), confidiamo nel fatto che saranno in tanti a capire la portata epocale ed unica nel panorama mondiale collegata ad un eventuale divieto d’impiego dell’urea, l’auspicio è che, entro la fine del 2027, si possa ripensare alla scrittura di questa parte del piano stesso visto che, come abbiamo già precisato, la nuova direttiva Ue deve essere recepita entro l’11 dicembre 2026 se non vogliamo nuovamente attendere la messa in mora per applicare tardivi rimedi. Non è nemmeno chiaro come si possano utilizzare fondi del piano strategico nazionale 2023-2027 per sostenere le imprese agricole nel 2028.
Non molti anni fa, nel programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico, seguendo indicazioni provenienti da importanti enti di ricerca, si faceva riferimento all’urea ma non per vietarne l’uso quanto, piuttosto, per ridurne le emissioni di ammoniaca. La stessa Direttiva Nec (2016/2284) auspicava una riduzione di almeno il 30% delle emissioni di ammoniaca e, relativamente all’Italia, studi di appena 4 anni hanno dimostrato che interrando l’urea subito dopo la distribuzione sul terreno, le riduzioni di emissioni di ammoniaca oscillavano tra il 50 e l’80% in funzione della profondità d’interramento, della tessitura e dell’andamento climatico; parallelamente si testarono varie forme di inibitori dell’ureasi e si arrivò ad ottenere una riduzione del 70% di emissioni per l’urea solida. Crediamo che sia questa la strada più moderna e sostenibile per una reale diminuzione delle emissioni di ammoniaca in atmosfera da parte dei concimi a base di urea. Ben vengano norme e regolamenti volti a facilitare e regolamentare l‘uso del digestato, del compost, del biochar, ad esempio il Reg. Ue 2019/1009 sui prodotti fertilizzanti già prevede queste materie prime anche se i derivati zootecnici restano ancora in una sorta di limbo difficile da gestire. Sono anche auspicabili nuove leggi nazionali, con il benestare della Commissione Ue, che riescano ad avvicinare le forme azotate di natura organica a quelle da sintesi per poterle gestire al di fuori dei limiti della direttiva nitrati così come obblighi di pratiche agronomiche come l’interramento, la concessione di specifiche finestre temporali (o periodi di divieto di concimazione) o la necessità di utilizzare inibitori e/o ricoprenti che riducono sensibilmente le emissioni di ammoniaca. La strada segnata dal piano per il miglioramento della qualità dell’aria non è quella giusta, almeno per l’azione 1 nell’ambito d’intervento in agricoltura. Del milione di euro regalato dall’azione 2 per studiare gli effetti degli inibitori della nitrificazione su prodotti che di azoto ammoniacale ne hanno ben poco ne parleremo in un’altra occasione.
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