
Il Brasile di Lula da Silva tenta di reagire alla batosta dei dazi imposti da Trump con una doppia strategia, l’appoggio del governo alle imprese colpite e il rafforzamento della partnership commerciale con i paesi dei Brics. Il 7 agosto è scattata la nuova tariffa del 50% sui prodotti brasiliani destinati al mercato statunitense. Non si tratta solo del dazio più alto in assoluto a livello mondiale, è anche quello basato sulle motivazioni più politiche e meno commerciali. La decisione della Casa Bianca è stata spiegata a causa di quella che Trump considera come una persecuzione nei confronti dell’ex presidente Jair Bolsonaro, attualmente agli arresti domiciliari ed in attesa della sentenza nel processo in cui è accusato di tentato colpo di Stato.
Per Trump si tratta di una caccia alle streghe, il Brasile starebbe violando i diritti umani e le libertà democratiche difese dagli States. Nel mirino di Washington anche i giudici della Corte Suprema ed in particolare il titolare del processo contro Bolsonaro Alexandre de Moraes, a cui è stata applicata la severissima legge Magnitsky, un provvedimento che prevede l’esclusione dai circuiti bancari e finanziari americani e che è riservata generalmente a dittatori e despoti. La stangata dei dazi non è giustificabile se si analizza la bilancia commerciale tra Brasile e Stati Uniti, che dal 2009 è sempre a favore degli USA con un superavit accumulato di 50 miliardi di dollari. Si tratta, inoltre, di due economia complementari ed integrate, che finora non avevano avuto problemi e crisi commerciali. Contemporaneamente alla nuova tassazione è stata diramata una lista di beni e prodotti graziati, tra cui il petrolio, gli aerei (il gigante brasiliano Embraer produce velivoli per numerose compagnie statunitense), il ferro e il succo d’arancia. Sono inclusi invece prodotti centrali per l’agrobusiness brasiliano come la carne, il caffè, il settore ittico, lo zucchero, il sale, la frutta tropicale oltre al tessile od i mobili.
Il 57% del totale delle esportazioni brasiliane è colpito, secondo le prime stime il calo generale dell’export nel 2025 sarà di 5 miliardi di dollari e di 10 miliardi di dollari nel 2026. In termini assoluti si prevede un calo diretto del PIL dello 0,15% per il 2025 e del 0,3% del 2026, ma lo scenario è ancora molto incerto anche perché si teme potranno arrivare ulteriori blocchi nelle prossime settimane. Il settore del caffè è il più colpito. Il Brasile è il primo produttore mondiale e fornisce il 30% del mercato statunitense, il maggiore a livello globale. Gli Usa assorbono il 16% delle 50 milioni di borse di caffè esportate ogni anno dal Brasile, la confederazione dei produttori locali ha messo in guardia le autorità americane su prevedibili problemi di approvvigionamento, con grandi catene come Strarbuks o Dunkin’ che potranno essere colpite. L’enorme domanda americana non potrà essere assorbita in tempi brevi da altri paesi produttori come la Colombia, il Vietnam o il Costarica. Stesso discorso vale anche per la carne bovina, anche se in questo caso a sopperire il vuoto ci sono i produttori locali negli States. La risposta del governo Lula alla stangata trumpiana non si è fatta attendere.
In un primo momento il presidente brasiliano ha minacciato di applicare il principio della reciprocità, stessi dazi sui prodotti statunitensi, ma poi ha moderato il suo discorso e ha ordinato l’elaborazione di un piano d‘emergenza destinato ai settori colpiti. Ne è scaturito il programma Brasile Soberano (Brasile sovrano) che prevede esenzioni fiscali e tributarie e linee di credito agevolate con uno speciale Fondo di garanzia all’export di 30 miliari di reais, poco meno di cinque miliardi euro. Lula ha poi rilanciato la necessità di cercare mercati alternativi partendo dai grandi partner asiatici, Cina e India in testa. “Non possiamo accettare passivamente le decisioni ingiuste ed arbitrarie di altri – ha dichiarato – dobbiamo rafforzare le nostre partnership e trovare nuovi sbocchi per la nostra industria e il nostro agrobusiness”. Per alcuni analisti la stangata trumpiana nasce anche come una forma di ritorsione per il protagonismo brasiliano all’interno dell’alleanza dei Brics, i grandi paesi emergenti che si sono riuniti a luglio proprio a Rio de Janeiro.
L’allargamento dei Brics, con l’ingresso di grandi e medie economie come l’Indonesia o il Vietnam, non piace a Washington anche perché cresce il desiderio di trovare alternative al dollaro per gli scambi commerciali tra i paesi che ne fanno parte. Lula intende poi premere l’acceleratore sugli accordi commerciali e per questo ha invitato Macron a sconfiggere le resistenze interne in Francia per la strategica intesa tra l’Unione Europea ed il Mercosur, ancora lontana dalla ratifica definitiva. Il protezionismo di Trump obbliga il Brasile a muoversi su più fronti nel sempre più complicato gioco ad incastri del commercio globale.
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