
Il fast fashion rappresenta una vera e propria catastrofe ecologica, fra discariche larghe chilometri nei Paesi in via di sviluppo e inquinamento da solventi, vernici e microplastiche. Per non parlare dello sfruttamento dei lavoratori della filiera.
Greenpeace ha lanciato una campagna per dire no al fast fashion e per promuovere l’acquisto consapevole degli indumenti, anche imparando a riconoscere le certificazioni tessili. La guida di Greenpeace è intitolata “Oltre il fast fashion, come vestirsi rispettando il pianeta”.
Fast fashion fra inquinamento e sfruttamento
Il fast fashion è un’industria ad altissimo impatto ambientale e sociale: solo nell’Ue ogni anno finiscono tra discariche e inceneritori circa 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature, pari a 12 kg per persona, mentre a livello globale si stima che ogni secondo venga smaltito un camion di tessuti.
La filiera degli acquisti online amplifica il problema: i resi percorrono fino a 10.000 km e spesso non vengono rimessi in vendita, aumentando le emissioni di CO₂. Oltre il 60% delle fibre tessili impiegate è sintetico (soprattutto poliestere, derivato dal petrolio), che rilascia migliaia di microplastiche a ogni lavaggio.
Sul fronte sociale, secondo l’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite) milioni di lavoratori del settore in Asia ricevono salari inferiori al minimo legale e sono esposti a sostanze tossiche e cancerogene, con gravi conseguenze per la salute.
Le certificazioni per un abbigliamento green
Greenpeace invita a rispettare l’ambiente anche nella scelta dei vestiti, evitando il fast fashion scegliendo preferibilmente capi che riportino una certificazione green. Le certificazioni tessili rappresentano uno strumento essenziale per distinguere i capi prodotti in modo etico e rispettoso dell’ambiente dai capi che, invece, arrivano da filiere che potrebbero potenzialmente rappresentare un problema ambientale e sociale.
Gots – Global Organic Textile Standard
Global Organic Textile Standard (Gots) è una delle certificazioni più complete perché prende in considerazione l’intera filiera tessile sotto il profilo ambientale e sociale:
- certifica tutte le fasi di produzione di un prodotto tessile;
- richiede che le fibre tessili provengano da agricoltura biologica;
- pretende almeno il 90% di fibre naturali biologiche certificate nei vestiti biologici (e quelli realizzati con materiali biologici devono contenerne almeno il 70%);
- impone il risparmio energetico e idrico nella produzione;
- garantisce la tutela della salute, della sicurezza e dei diritti dei lavoratori;
- garantisce ispezioni nelle aziende della filiera.
Ivn Best
Per le fibre naturali biologiche Ivn Best è attualmente la certificazione più rigorosa:
- pretende l’uso esclusivo di materiali biologici;
- vieta pesticidi chimici;
- richiede trasparenza in tutte le fasi della filiera;
- garantisce la tutela dei diritti dei lavoratori;
- garantisce ispezioni nelle aziende della filiera.
Naturland Textile
La certificazione Naturland è nata nel settore alimentare, per poi estendersi a quella dell’abbigliamento:
- garantisce che almeno il 95% del prodotto finale deve essere realizzato in fibre naturali;
- garantisce che anche bottoni e cerniere rispettino gli standard ecologici;
- pretende che i controlli vengano eseguiti da istituti di analisi esterni.
Oeko-Tex Made in Green
La certificazione Oeko-Tex Made in Green copre tutti i tipi di fibre tessili e garantisce che
- tutte le fasi di produzione siano soggette ad audit secondo il programma Sustainable Textile Production (STeP);
- le aziende aderenti non utilizzino sostanze chimiche pericolose, fornendo anche un elenco delle migliori pratiche;
- le aziende della filiera ricevano ispezioni indipendenti anche per garantire il rispetto degli standard sociali dell’Ilo.
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