24 Agosto 2025
Salgono al 15%: l’Italia teme


Un colpo di gong che risuona nelle cantine: il negoziato Ue-Usa sui dazi al vino si ferma, la tariffa al 15% resta. Con l’autunno alle porte e il mercato americano in piena stagione di ordini, il rischio è che la “stangata” si traduca in prezzi più alti a scaffale, minori volumi e margini in sofferenza lungo tutta la filiera, da Langhe a Montalcino fino alle bollicine venete. Il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, ha comunicato in conferenza stampa che non è stato raggiunto un accordo favorevole sull’applicazione dei dazi statunitensi a vino e birra (e agli alcolici in generale). Al momento questa categoria non rientra nel livello di “nazione più favorita” (Npf), e la tariffa al 15% resta in vigore. “Entrambe le parti, gli Stati Uniti e l’Ue, sono pronte a prendere in considerazione altri settori”, ha spiegato Sefcovic, aggiungendo che “le porte non sono chiuse per sempre”.

Gli Stati Uniti sono il primo mercato estero per il vino italiano. Secondo Filiera Italia, nel 2024 le esportazioni verso gli Usa hanno toccato circa 1,9 miliardi di euro, pari al 24% dell’export complessivo del comparto. Unione italiana vini (Uiv) parla di “stangata per il settore più esposto tra le top 10 categorie italiane destinate agli Stati Uniti”, con un controvalore che sfiora i 2 miliardi l’anno. “Continuare a negoziare” è l’appello di Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia: “Che vino e alcolici siano inseriti nell’elenco dei beni esentati da un dazio al 15% deve essere una priorità”. Il manager ricorda che l’80% del vino italiano esportato negli Usa è acquistato “in cantina” a circa 5 euro: un dazio così alto, unito alla svalutazione del dollaro, può spingere il prezzo a scaffale fino a 20 dollari. Un mix micidiale per il posizionamento, specie nelle fasce di prezzo più sensibili.

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L’Osservatorio Uiv stima per le imprese un danno cumulato di circa 317 milioni di euro nei prossimi 12 mesi; per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno potrebbe salire fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Se il dollaro dovesse mantenersi debole, l’impatto per le aziende italiane crescerebbe fino a 460 milioni. “Sarà un secondo semestre molto difficile”, avverte il presidente Uiv Lamberto Frescobaldi, che intravede però “tempi supplementari” negoziali per correggere il tiro. Uiv propone un’alleanza tattica tra la filiera italiana e i partner Usa — distributori, importatori e ristoratori — “che per primi si oppongono ai dazi” nell’interesse condiviso.

Nel 2024 sono state spedite verso gli Usa 482 milioni di bottiglie; di queste, il 76% (366 milioni) rientra in “zona rossa”, con un’esposizione all’America superiore al 20% del totale spedito.

Le aree più esposte:

– Moscato d’Asti: 60% delle vendite all’export dirette negli Usa

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Pinot grigio: 48%

Chianti Classico: 46%

– Rossi toscani Dop: 35%

– Rossi piemontesi (e Brunello di Montalcino): 31%

Prosecco: 27% Completano il quadro Lambrusco e Montepulciano d’Abruzzo, anch’essi sensibili al colpo di prezzo.

Per il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti, “servirà un sostegno da parte dello Stato in termini di promozione del prodotto enologico italiano”. Il contesto non aiuta: nei primi cinque mesi dell’anno i volumi esportati sono scesi di quasi il 4% su base tendenziale. Alla luce dei numeri, misure pro-mercato mirate — dalla promozione cofinanziata nei canali on-premise e off-trade americani, a strumenti di copertura del rischio cambio e di sostegno alle campagne commerciali — possono mitigare l’onda d’urto nell’immediato.





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