24 Agosto 2025
tre miliardi di export in meno. La stretta Usa rischia di strozzare le piccole imprese italiane


L’adagio “piccolo è bello” sembra ancora più superato nell’era dei dazi. Tra minore accesso al mercato americano, aumenti dei costi per spedire le merci Oltreoceano, difficoltà – in tutta la catena globale – negli approvvigionamenti di materie prime e beni strumentali, la stretta tariffaria voluta dalla Casa Bianca rischia di strozzare le micro e le piccole imprese italiane. Confartigianato, non a caso, ha paventato una riduzione dell’export per questo segmento fino a 3 miliardi.

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Ice e Istat – nell’ultima edizione del rapporto “L’Italia nell’economia internazionale” – hanno stimato che nel nostro Paese ci sono «6mila imprese, con oltre 140mila addetti», altamente «vulnerabili di fronte alla svolta protezionistica dell’amministrazione statunitense». Se tutte sono «esposte in modo diretto a rischi potenziali elevati», di queste circa l’80 per cento sono «imprese di piccola dimensione e con governance domestica». L’ufficio studi di Confartigianato è andato oltre e ha stimato che i dazi al 15 per cento americani sui beni europei rischiano di far saltare fino a 33mila posti di lavoro in tutta la produzione italiana, una parte dei quali all’interno di micro e piccole imprese. Proprio questo mondo – che vale il 95 per cento del made in Italy con oltre 4 milioni di aziende – potrebbe dover rinunciare a quasi un terzo – tre miliardi – degli 11 miliardi di fatturato verso gli Stati Uniti.

Luigi Granelli, presidente di Confartigianato, sottolinea che pagheranno un caro prezzo sia «le piccole imprese che sono inserite in grandi filiere guidate dai grandi colossi dell’export sia quelle che, con tutte le difficoltà del caso, si muovono da sole per conquistare i mercati internazionali». Anche perché, oltre alle difficoltà sul mercato americano, a livello domestico i piccoli potranno pagare più di altri la sovrapproduzione cinese, «l’ondata di prodotti a basso prezzo che il colosso asiatico con i dazi non riuscirà più a vendere negli Usa e che proverà a piazzare sui mercati europei».

Secondo Granelli, la soluzione sta, da un lato, nel diversificare i Paesi dove esportare – «Guardando sempre di più a Sud America, Arabia Saudita e Emirati Arabi» – dall’alto rafforzare le reti di imprese, i vecchi consorzi per superare il nanismo, rafforzando «la collaborazione con l’Ice, Sace, Simest e il sistema camerale». Entrando più nello specifico, aggiunge il numero uno di numero uno di Confartigianato, «i comparti che rischiano di essere maggiormente colpiti sono la moda, l’arredamento, il legno, l’alimentare e la meccanica, ma anche l’occhialeria, la valigeria e l’oreficeria».

I dazi, però, rischiano di avere impatti anche sul fronte del commercio al dettaglio. Il Wall Street Journal ha raccontato che negli Stati Uniti colossi come Walmart, Amazon e T.J. Maxx hanno incrementato le vendite a scapito dei concorrenti più piccoli, assorbendo i dazi con prezzi più allettanti. Walmart, nonostante i ripetuti allarmi sugli aumenti, ha deciso di accollarsi il grosso dei rincari, T.J. Maxx sta acquistando le scorte in eccesso che altri rivenditori hanno ordinato prima dell’entrata in vigore dei dazi e ora devono smaltire, mentre Amazon ha ridotto tempi e costi delle consegne.

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I LIVELLI

I grandi – sfruttando le loro liquidità e capacità di fare economie di scala – hanno assorbito gli extracosti legati ai dazi, riducendo gli spazi di mercato dei piccoli. E in Italia crescono i timori che la stessa tendenza possa indebolire i livelli di negozi. Secondo Mariano Bella, direttore del Centro studi di Confcommercio, «da noi le restrizioni tariffarie finiranno per acuire le problematiche del commercio, in primo luogo la capacità di spesa degli italiani. Ma parliamo di un comparto che ha visto chiudere in dieci anni oltre 120mila attività sotto il peso di criticità come il calo demografico e la desertificazione dei centri storici. Fenomeni che, insieme, hanno portato in dieci anni alla chiusura di 120mila negozi». L’economista sottolinea che «soltanto con il tempo capiremo i vari impatti all’economia. Detto questo, un mondo con i dazi è un mondo peggiore. Di conseguenza, la spinta inflattiva attesa in America e il contagio a livello internazionale sul resto dell’umanità ci impoverirà tutti. E quindi ci saranno meno soldi per fare acquisti. Per non parlare delle ripercussioni sul turismo: gli statunitensi che si scopriranno con meno risorse, faranno più fatica a venire in Italia. E loro, lo sappiamo bene, non badano a spese quando fanno shopping».





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