25 Agosto 2025
Un lettore scrive: “Non sono anti Ponte di Messina, ma…”


“Caro Mimmo, non sono contro il ponte di Messina, ma se voglio andare da Napoli a Matera o a Crotone non posso impiegare 8 ore. Inoltre spostarsi in Sicilia tra una provincia all’altra non posso impiegare come se da Napoli debbo andare a Milano. Lo sviluppo del Sud dipende molto delle infrastrutture regionale. Così la penso. Le risorse per le opere infrastrutture pubbliche potrebbero essere gestite con più oculatezza per risolvere i problemi di trasporto pubblico”.

Provate a dargli torto! Lo ha scritto l’imprenditore e “commendatore della Repubblica per merito”, nominato il 4 novembre 2018, dal presidente Mattarella, rispondendo alla mia riflessione della settimana scorsa, sul “no”- secondo me, soltanto ideologico – della sinistra alla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina.

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Michele, sono d’accordo con te, ma non bisogna dimenticare che le infrastrutture ferroviarie regionali sono realizzate e gestite principalmente da RFI, società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, e da enti di gestione ferroviaria regionali. RFI si occupa della gestione della rete ferroviaria nazionale, mentre gli enti regionali gestiscono le linee ferroviarie di loro competenza, spesso di carattere regionale o locale. E devo aggiungere di essere d’accordo anche sull’opportunità che una maggiore oculatezza nell’utilizzo delle “risorse pubbliche risolverebbe i problemi del trasporto pubblico”.

Ma attenti, una cosa è il Ponte sullo Stretto, tutt’altra sono le infrastrutture ferroviarie regionali e locali e la realizzazione dell’uno (Ponte) non è subordinato o prioritario rispetto alle altre e neanche viceversa. Tanto più, riconosciamolo con franchezza e senza infingimenti, nei decenni passati per lo sviliuppo italiano sono state investire risorse ingentissime ben oltre 86 miliardi di euto, ma alla luce dei risultati ottenuti quelle investite nel Sud sono state oggetto di dibattiti, polemiche ed analisi.

Sebbene non esista una singola percentuale precisa che riassuma l’intera questione, è noto, però che a fronte di una legge del 1950 che destinava annualmente agli investimenti per lo sviljuppo del territorio al di sotto della riva destra del Garigliano il 40% del Pil italiano, nel Sud è sempre arrivato solo il 5% e questa soprattutto attraverso interventi speciali e politiche di coesione territoriale.

Il che ha fatto sì che il divario economico tra Nord e Sud non solo restasse inalterato, – ma spesso addirittura, finisse per peggiorare ulteriormente – sollevando di conseguenza, e giustamente, interrogativi e perplessità sull’efficacia di tali interventi. Ma ora l’istituzione della Zona Economica Speciale unica, rappresenta un’occasione in più offerta al rilancio e alla realizzazione di quelle opere indispensabili per la crescita dell’Italia del Tacco.

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La ZES unica, infatti, è un’area agevolata che comprende tutte le regioni del Mezzogiorno d’Italia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). Il cui obiettivo principale è quello di incentivare gli investimenti produttivi attraverso agevolazioni fiscali e burocratiche e le imprese che operano all’interno dell’area possono beneficiare di un credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nuovi, macchinari, impianti e attrezzature, terreni e immobili strumentali. Si tratta, insomma, di un’importante opportunità in più per le imprese meridionali, offrendo loro agevolazioni fiscali e burocratiche per incentivare gli investimenti produttivi e promuovere lo sviluppo economico dell’area.

E, alla luce dei dati ufficiali Istat e Svimez da due anni a questa parte il Mezzogiorno da vagone di coda è diventato locomitiva d’Italia, crescendo più del Nord. Attenzione, però, dal prossimo anno la stessa Svimez sottolinea il rischio di un nuovo ritorno a una crscita più stentata del Sud rispetto al resto del Paese: (+0,7) rispetto al (+1,0). Se è questo il rischio, però, per sventarlo basterà realizzare i progetti già in itinere.

Per il Sud gli investimenti del Pnrr in via di definizione valgono mediamente l’1,8% di Pil meridionale, mentre quelli Centro-Nord l’1,6% ovvero ancora uno 0,2 % in più a vantaggio dell’Italia al di sotto del Garigliani. Basterà, quindi, essere in grado di realizzarli come siamo riusciti a fare finora e il nostro Pil continuerà a crescere, anziché arretrare come vorrebbero le “ciucciuettole” del CentroNord e realizzare le infrastrutture ferroviarie e di viabilità indispensabili ad “accorciare” le distanze fra le regioni e i comuni meridionali.

Tanto più che – proprio in tema di infrastrutture ferroviarie – si parla di un piano, ”timbrato” Trenitalia di 7 miliardi per 1.061 convogli di nuova generazione onde rilanciare il servizio regionale entro il 2027. Sarebbe allora il caso di affiancare alla Zes unica, una sorta di Autority per il Sud, da me già proposta nel saggio “Buio a Sud” edito da “Il Cerchio” nel 2005, con compiti operativi in termini progettuali e controllandone passo passo la realizzazione, per evitare come già successo che progetti in itinere potrebbero fermarsi per mancanza di fondi stanziati, interamente in avvio, ma poi dispersi per strada, lasciando al posto dell’opera attesa, l’ennesimo monumento all’incompiutezza. 

©RIPRODUZIONE RISERVATA





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