25 Agosto 2025
«Il partito del lamento, il futuro da difendere»


Caro direttore,

ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di raccontare come a Napoli nei settori delle tecnologie innovative si stiano aprendo delle opportunità che fino a poco tempo fa non si credevano possibili. E anche sui rischi che corriamo se non cerchiamo di offrire le stesse opportunità a chi fino ad ora ne è rimasto escluso, tenendo bene a mente gli enormi cambiamenti cui stiamo assistendo a livello globale. Ti ringrazio ancora di più perché il mio intervento di qualche giorno fa mi ha consentito di ricevere tanti commenti e osservazioni che giustamente meritano un ulteriore approfondimento e contributo di riflessione. E per questo ti chiedo un altro po’ di spazio, conscio della tua attenzione per una causa che hai fatto tua e del tuo giornale.

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Il ritorno al Sud, o la fine della fuga obbligata è un tema che ha accompagnato la mia vita professionale: spesso come una stella polare ma qualche volta anche come un incubo.

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Ora, per il combinato disposto di tendenze globali che guardano ai Sud del mondo e soprattutto per quanto questa città e questa terra sono in grado di offrire praticamente da sempre, si stanno creando delle opportunità che sarebbe ingiusto negare o sminuire con le solite litanie sui trasporti, la sanità, gli stipendi bassi o finanche il parcheggiatore abusivo sotto casa. Sia chiaro, questi problemi esistono e nonostante l’impegno di alcuni tra quelli che governano le cose pubbliche, a Napoli come a Roma o come a Bruxelles, ci vorrà tempo prima che spariscano.

Ma a questo punto dobbiamo capire se proseguire a lavorare per questo cambiamento, correggendo gli errori e le mancanze e leggendo con attenzione ciò che sta accadendo in Cina o negli Stati Uniti, o se invece dobbiamo continuare in una lamentela senza fine. Io rivendico il mio diritto di essere nel primo gruppo e di guardarmi intorno per trovare altri donne e uomini di buona volontà disposti alla stessa battaglia.

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Sono perfettamente conscio che chi dice ai nostri ragazzi “tornate” o “non partite più” si prende una responsabilità. E so che tu, caro Direttore, questa assunzione di responsabilità la hai fatta pubblicamente chiarendo ripetutamente il punto cruciale della campagna: l’esortazione del tuo giornale non va vista come un momento di pur giustificata soddisfazione – è un fatto che Napoli è la seconda città italiana per pmi innovative, cresce il peso di istituti tecnici, multinazionali e medie imprese, economia del mare, industria della creatività, bellezza attrattiva – ma al contrario deve essere un richiamo a proseguire con maggiore forza in questo cambiamento, appunto per renderlo quanto più possibile generale, stabile e duraturo. Per affrontare, come hai scritto, la fatica e l’ambizione di questa sfida con i talenti e l’organizzazione che servono.

Un grande italiano, Enrico Mattei, in un suo discorso in Basilicata all’apertura di alcuni stabilimenti ed impianti nella mia cara Val Basento, si lanciò a dire a quegli italiani, lontani da Eboli e dal mondo che stava cambiando, che non avrebbero più dovuto emigrare e che avrebbero potuto dire a mariti e figli che lo avevano fatto di tornare. Possiamo azzardarci a fare oggi la stessa cosa? Lo sviluppo economico di Enrico Mattei era fatto di pochi tecnici e laureati e di tanti operai: poteva garantire un giusto salario con una licenza elementare e con un po’ di formazione professionale. Era fatto di enormi impianti costruiti per durare decenni, per creare prodotti che anche loro potevano e dovevano “vivere” per tanti anni. Questo mondo non esiste più o comunque non può esistere più in Italia ed in Europa; e non può e non deve essere rimpianto, come paradossalmente alcuni si ostinano a fare, se questo cambiamento significa immaginarsi un futuro con meno operai alle catene di montaggio e con più progettisti capace di creare robot intelligenti o nuovi farmaci.

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Come possiamo rendere la nostra città, il nostro Paese capace di essere attrattivo oggi per quello che sarà il domani di questo nostro mondo? Non mi azzardo a rispondere su tutte le sfide che questa scommessa implichi ma sulla formazione e sulla innovazione non ho paura a farlo. Dobbiamo cambiare la nostra scuola, renderla flessibile, rigorosa nel livello delle competenze che offre ma aperta, dinamica ed inclusiva nel modo nel quale le presenta ai giovani, per non perderli per strada. Questo è il nostro vero “inverno demografico”.Basta parlare solo di materie da studiare: cominciamo a parlare seriamente di come farle studiare, e capire veramente.

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Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a comprendere come stia cambiando il mondo del lavoro, mettendoli in condizione di fare la scelta più adatta alle proprie caratteristiche, facendo entrare il mondo dell’università e del lavoro STABILMENTE nelle aule. Per mostrare loro che oggi le competenze devono essere sempre più trasversali e che lavoro e formazione devono andare sempre insieme.  Facciamo studiare meglio i nostri ragazzi, cercando di accompagnarli in una formazione superiore che sia in grado di dare opportunità di lavoro concrete. Per chi vuole laurearsi, affianchiamo alle competenze metodologiche quelle abilità e conoscenze pratiche che sono così importanti per le aziende, o per creare nuove imprese. E a chi vuole entrare presto nel mondo del lavoro offriamo programmi di formazione sviluppati in collaborazione con chi ha bisogno di giovani talenti.

Ora, per quanto sia evidente che siamo di fronte a trend così globali che nemmeno gli stati nazionali sono in grado di affrontarli da soli, queste cose devono e possono essere fatte a partire dalla nostra città, dalla nostra regione, senza dover chiedere il permesso a nessuno, se non a noi stessi.





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