
Solo il 25 per cento delle imprese ricettive con partita Iva ha il codice Cin. Il restante 75 per cento è rappresentato da locazioni non professionali. Sono questi i dati toscani pubblicati lo scorso 21 luglio dal ministero del Turismo. Numeri che gettano ombre su un settore fondamentale per l’economia regionale.
“Dei 67.633 codici identificativi (Cin) rilasciati in Toscana al 21 luglio 2025, solo 16.854 fanno capo a imprese ricettive con partita Iva: appena il 25%”. Spiega nel dettaglio Confcommercio che in una nota analizza il fenomeno del quale anche Arezzo non è immune.
“È la fotografia di un cambiamento strutturale, che sembra spostare il baricentro del turismo dalla produzione di valore alla semplice rendita – spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – con il Cin è finalmente emerso quel sottobosco di offerta ricettiva che per anni è rimasto latente. Adesso abbiamo l’opportunità di governarlo, per non compromettere le performance delle imprese, che sono le uniche a garantire ricchezza e occupazione qualificata sul territorio, proventi all’erario e ai clienti i necessari standard di qualità, sicurezza e servizi”.
I dati aretini
Nell’Aretino la proporzione è un po’ diversa, ma in media oltre la metà degli alloggio è gestito in maniera non professionale. In città ci sono 66 agriturismi detentori di Cin, 124 strutture gestite in forma imprenditoriale, 21 esercizi alberghieri e ben 527 alloggi privati. In Casentino gli agriturismi intestatari di Cin sono 79, 62 gli alloggi gestiti in forma imprenditoriale e ben 314 quelli privati. E ancora, nel Valdarno aretino gli agriturismi sono 150, 86 gli alloggi in forma imprenditoriale, 14 alberghi e 472 quelli privati. In Valdichiana gli alloggi privati titolari di Cin sono ben 832, contro 253 agriturismi, 194 strutture gestite in forma imprenditoriale e 24 strutture alberghiere. In Valtiberina infine, a fronte di 48 agriturismi, 40 alloggi gestiti in modo imprenditoriale e 16 strutture alberghiere ci sono 191 alloggi privati
Emerge una frammentazione del settore ed un numero molto alto di privati che, in molti casi vengono percepiti dalle strutture tradizionali come “concorrenti sleali”, come sostiene Confcommercio. “Ma non è solo questione di concorrenza asimmetrica, tra imprese tradizionali che sostengono costi elevati e affitti brevi che operano con costi minimi e cedolare secca, creando una competizione percepita come “sleale”. Secondo Confcommercio Toscana, l’eccessiva frammentazione dell’offerta impedisce una strategia turistica unitaria, rallenta l’innovazione e svuota i centri abitati, visto che l’enorme redditività degli affitti brevi sottrae alloggi al mercato residenziale, alimentando spopolamento e disagio abitativo”.
Secondo l’associazione questi numeri esporrebbero il settore del turismo a vari rischi, tra cui quello di “rinunciare a un modello di sviluppo turistico sostenibile, equo e competitivo – sostiene Marinoni –, impoverire il tessuto economico e minare l’identità delle comunità locali. Ma anche mettere a rischio la qualità dell’offerta. Piccoli, divisi, disorganizzati: avremo lo stesso appeal per il turismo internazionale?”
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