27 Agosto 2025
Dazi Usa 2025: nessuna esenzione – Economia e politica


Il 21 agosto 2025 è stata siglata la dichiarazione congiunta tra Unione Europea e Stati Uniti che ha precisato i dettagli e formalizzato l’intesa sui dazi doganali americani sulle merci in arrivo negli Usa dall’Unione Europe.

 

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Almeno per il momento nulla è cambiato rispetto all’ordine esecutivo denominato “Ulteriore modifica delle tariffe reciproche” con il quale – tra l’altro – il presidente Usa Donald Trump aveva recepito lo scorso 31 luglio l’ipotesi di accordo sui dazi doganali con l’Unione Europea raggiunta con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il 27 luglio scorso in Scozia.

Dichiarazione congiunta Usa-Ue sui dazi

L’accordo politico tra Usa e Ue sanziona definitivamente che la tariffa unica del 15% si applica su quasi tutte le esportazioni europee e riguarda anche il comparto automotive (autoveicoli e parti), i semiconduttori, il farmaceutico, l’agroalimentare e il vino. I dazi settoriali su acciaio, alluminio e rame restano invariati e si continuerà ad applicare la tariffa del 50% già in vigore.

 

A scatenare la reazione negativa del mondo agricolo italiano – che manifesta insoddisfazione da parte di Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Legacoop e Fedagripesca – Confcooperative – è la mancanza dell’atteso addendum sulle esenzioni di una parte consistente delle esportazioni agroalimentari, vino in testa, atto che è stato ulteriormente rinviato.

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Infatti, l’unica novità della dichiarazione congiunta è il termine di 6 mesi – a decorrere dal 21 agosto 2025 – entro i quali le parti tenteranno di raggiungere intese sui prodotti da esentare. In pratica, se non saranno raggiunti accordi per delle esenzioni entro la metà di febbraio 2026, tutto è destinato a rimanere così come già stabilito ai primi di agosto 2025.

 

Dazi Usa, chi ci guadagna e chi ci perde

Gli Stati Uniti, con quasi 8 miliardi di euro di export nel 2024, sono il principale mercato extra-Ue per il cibo made in Italy. Ecco quali prodotti escono perdenti o vincenti dalla estenuante trattativa sui dazi, sempre che nei prossimi mesi non cambi qualcosa.

Secondo la Coldiretti le nuove tariffe al 15% sui prodotti agroalimentari italiani rischiano di costare oltre 1 miliardo di euro al made in Italy, con vino, olio, pasta e comparto suinicolo tra i più colpiti.

  • Il vino, prima voce dell’export, rischia dazi per 290 milioni di euro;
  • L’olio extravergine di oliva subirà un aggravio di oltre 140 milioni;
  • La pasta di semola vedrà un aumento di quasi 74 milioni;
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  • I formaggi restano complessivamente stabili, già gravati da tariffe tra il 10% e il 15%.

Sui formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano e la pasta una nota del presidente di Nomisma, Paolo De Castro, precisa che, rispetto alle aliquote andate in vigore dallo scorso aprile, guadagnano ora qualcosa: “Entrambi, infatti, avevano raggiunto il 25% di dazio dopo il primo aprile, ma ora tornano alla soglia del 15%.”

Per un altro formaggio importante dell’export italiano verso gli Usa – il Pecorino Romano – però si registra una situazione inversa: esentato dai dazi fino al 31 luglio, perché negli Usa non si producono formaggi con latte ovino, ora si ritrova l’aliquota del 15%.

Più complessa la situazione delle paste alimentari, già tassate con due tipologie di dazi ad aliquota variabile di anno in anno – antidumping (applicati per presunte vendite sottocosto) e compensativi (applicati per i contributi ricevuti dall’industria della pasta dai governi) – ora sostituita da un’aliquota fissa e certa al 15%, forse il male minore.

 

Per De Castro “La notizia meno positiva riguarda il vino e i prodotti alcolici, per i quali ci si aspettava un’esclusione che però non è arrivata. In ogni caso non è detta ancora l’ultima parola e questo accordo non chiude completamente le porte ad eventuali liste di prodotti sui quali eventualmente dover fare delle eccezioni”. Il vino, per di più, parte da un’aliquota daziaria di appena il 2,4%, che sale così vertiginosamente al 15%.

 

Coldiretti e Filiera Italia hanno definito la trattativa “sbilanciata a favore degli Stati Uniti e, ancora una volta, a pagare è l’agricoltura europea. Ci aspettavamo almeno l’esclusione del vino dalla lista dei dazi, ma così non è stato”. A giugno 2025 l’export agroalimentare italiano negli Usa è già calato del 2,9%, primo segno negativo da settembre 2023. Nello stesso mese, l’export totale italiano verso gli Stati Uniti è invece cresciuto del 10,3%.

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Per Unione Italiana vini si tratta di “stangata per il settore più esposto tra le top 10 categorie italiane di prodotti destinati agli Stati Uniti, con un’incidenza al 24% sul totale export globale e un controvalore di circa 2 miliardi di euro l’anno. Il danno stimato per le imprese è di circa 317 milioni di euro nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione”.

 

Dazi, come evitare un tracollo

La situazione complessiva è piuttosto dura: le tariffe al 15% sui prodotti agroalimentari italiani – stante l’attuale situazione di assoluta mancanza di esenzioni – rischiano di costare oltre 1 miliardo di euro al made in Italy, secondo quanto affermano Coldiretti e Filiera Italia, sulla base di un’analisi del Centro Studi Divulga. Sul come uscirne non c’è molto da dire. Tutte le organizzazioni agricole si dicono insoddisfatte dell’accordo, mentre sul tema delle vie d’uscita si registrano in sostanza due proposte.

Il presidente di Copagri, Tommaso Battista, è per soluzioni immediate e chiede, tra l’altro, di “puntare ancora su una strategia diplomatica efficace per fare fronte comune con i buyer statunitensi”.

Per il presidente di Copagri è inoltre “fondamentale impegnarsi da subito per ottenere esenzioni aggiuntive a livello negoziale, a partire dal settore agroalimentare, lavorando al contempo per garantire che tutte le produzioni provenienti dall’estero soddisfino i requisiti comunitari in materia di salubrità e sicurezza alimentare.”

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Mentre Corrado Martinangelo, presidente di Agrocepi – proiettato su soluzioni a lungo termine – afferma: “Chiediamo che, al netto degli sforzi che i singoli governi stanno facendo, ci si impegni per realizzare un Piano nazionale di ripresa e resilienza solo per l’agroalimentare che sostenga le aziende e trovi altri sbocchi di mercato, unica e inevitabile reazione sensata in questo momento da parte del made in Europe”.



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