26 Agosto 2025
L’impatto sociale? Non è una questione di norme, ma di credibilità (sia per il profit che per il non profit)


«In una fase in cui il paradigma delle sostenibilità è messo in discussione, è necessario ritornare ai fondamentali e cogliere l’essenza delle questioni». A parlare è Filippo Giordano (foto in apertura), direttore del dipartimento di Giurisprudenza, economia, politica e lingue moderne dell’Università Lumsa di Roma, che ha scritto insieme a Francesco Perrini il libro Impatto sociale. Interventi di inclusione e strumenti per la misurazione (Egea editore).

Giordano, perché la necessità di questo libro? Perché porsi il problema della misurazione dell’impatto sociale è ancora centrale per tutti gli attori economici?

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È il frutto di anni di studio e ricerca sul tema della misurazione di impatto sociale portati avanti col collega Francesco Perrini dell’Università Bocconi. In una fase in cui il paradigma delle sostenibilità è messo in discussione (vedi il tema fuga da esg) perché considerato (è un paradosso) insostenibile, cioè un paradigma i cui costi per le organizzazioni sono maggiori dei benefici, è necessario ritornare ai fondamentali e cogliere l’essenza delle questioni.

Veniamo da anni di dibattiti sulla misurazione dell’impatto troppo incentrati sugli strumenti e sulla necessità di obblighi di rendicontazione, che più che far crescere una cultura dell’impatto e della misurazione hanno alimentato una cultura dell’adempimento. Il rischio è che venendo meno la pressione regolatoria ci sia un disimpegno su questi temi, soprattutto nel mondo profit. Per questo è un argomento che oggi va affrontato con maggiore consapevolezza e maturità da parte delle organizzazioni.

Per quanto riguarda il non profit?

Per il non profit la questione è parzialmente differente, in quanto la misurazione di impatto è strettamente legata alla verifica dei risultati istituzionali dell’organizzazione. Ma è un’attività che rischia di essere insostenibile. Misurare l’impatto sociale costa, richiede tempo e competenza, è a tutti gli effetti un’attività di ricerca. Nonostante la sua rilevanza anche nel non profit, se non si va oltre l’adempimento i costi sono inevitabilmente di gran lunga superiori ai benefici. Eppure il valore aggiunto che può portare alle organizzazioni la misurazione di impatto sociale è rilevante. Se approcciata nel modo giusto da costo può diventare investimento, quindi generare valore nel tempo.

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In quale modo le organizzazioni dovrebbero approcciarsi oggi alla misurazione d’impatto? Quali sono i reali benefici di questa attività?

La questione assume connotazioni e rilevanza diversa nei vari ambiti (profit, non profit e pubblico) ma con un elemento alla base comune: lo straordinario valore che la misurazione d’impatto porta in termini di conoscenza e di comprensione della propria identità organizzativa. Mi riferisco a quello che si è, come lavora l’organizzazione, quale è il modello di intervento, quali sono le caratteristiche peculiari dei progetti e delle attività che rendono capaci di essere trasformativi, di generare appunto impatto. Questo fa della misurazione un potente strumento di riorientamento strategico e di management.

Per le imprese profit i progetti di misurazione d’impatto sociale dovrebbero favorire una riflessione sul purpose aziendale. Parlare di impatto sociale significa interrogarsi sul contributo che l’organizzazione dà alla società, quale sistema socioeconomico contribuisce a costruire, quali valori etici si intendono affermare. Citando la prefazione al libro di Francesco Billari, se per gli aspetti di impatto ambientale si è coniato il termine di impronta ecologica, per l’impatto sociale potremmo parlare di impronta sociale intesa come contributo al benessere degli individui, alla qualità delle relazioni e alla coesione sociale lasciata sulla comunità di riferimento da progetti, attività e politiche aziendali.  

Per le aziende non profit in cui il purpose è di fatto il fine istituzionale le cose sono un pò diverse.

Per le aziende non profit la misurazione d’impatto sociale è a tutti gli effetti uno strumento di analisi e pianificazione strategica perché mette in connessione la propria visione (cosa si aspira ad essere, quale problema sociale si vuole contribuire a risolvere, quindi quale impatto che nel lungo periodo ci si propone di generare) con la propria missione: chi siamo, qual è il nostro approccio al problema, quali attività è necessario mettere in campo per essere trasformativi. Questo permette di allineare i comportamenti aziendali, contribuire all’affermazione e crescita di una cultura organizzativa condivisa.

Misurare l’impatto sociale per una non profit è fondamentale per avere piena consapevolezza dei processi di cambiamento che si vogliono innescare e, quindi, per mettere in campo progettualità coerenti, interventi efficaci dove nulla è lasciato al caso. Questo rinsalda le relazioni interne, rafforza il senso di appartenenza degli stakeholder e accresce la reputazione verso l’esterno, il vero asset di un’organizzazione.

In generale per chi si occupa di sociale o dichiara di porsi obiettivi di natura sociale, che un’organizzazione sia non profit, impresa o pubblica amministrazione, avviare percorsi di misurazione d’impatto sociale è una questione di credibilità.

Misurare l’impatto sociale per una non profit è fondamentale per avere piena consapevolezza dei processi di cambiamento che si vogliono innescare

Prima ha richiamato al tema dei costi e al fatto che misurare è un’attività di ricerca. Quali sono i principali elementi di complessità della misurazione di impatto sociale per un’organizzazione?

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Il processo di misurazione richiede due fasi. La prima fase riguarda la costruzione del modello teorico di misurazione che porta all’identificazione dei driver d’impatto e degli indicatori che scegliamo per misurare gli esiti delle nostre attività. Questa è la fase di ascolto del sistema dei portatori di interesse dell’organizzazione, in cui raccogliamo il punto di vista dei beneficiari diretti e indiretti degli interventi e degli operatori. Questa fase deve essere supportata dallo studio della letteratura scientifica di riferimento che ci permette sia di validare le questioni che emergono sia di ampliare la nostra prospettiva. Questa è una vera attività di analisi strategica per una non profit.

L’obiettivo di questa fase è fare emergere i tratti distintivi della nostra organizzazione, il nostro pensiero rispetto a come contribuire alla risoluzione del problema sociale e quali sono gli aspetti rilevanti che andremo a misurare e monitorare con gli indicatori scelti. La teoria del cambiamento che andiamo a sviluppare e il modello di misurazione che costruiamo deve essere espressione della nostra identità, rappresenta il nostro punto di vista anche se certamente ancorato a basi scientifiche. In questa fase risiede gran parte del valore che possiamo generare per l’organizzazione con la misurazione d’impatto.

La seconda fase?

La seconda fase riguarda, invece, la reale attività di misurazione che implica individuazioni delle fonti informative, progettazione degli strumenti di rilevazione, raccolta dei dati e tecniche di elaborazione. Questa fase richiede scelte di tipo tecnico ben precise che riguardano non solo la metodologia da adottare ma soprattutto il perimetro della misurazione. Due sono le dimensioni che definiscono il perimetro della misurazione d’impatto. La prima è l’ampiezza: quale è l’oggetto della misurazione? Misuriamo l’impatto di un’attività, di un progetto o dell’organizzazione? Ci focalizziamo su una specifica categoria di beneficiari diretti o prendiamo in considerazione più stakeholder? Misuriamo l’impatto su una specifica dimensione di analisi, per esempio il miglioramento dei comportamenti sociali dei beneficiari e le abilità personali. La seconda dimensione è l’orizzonte temporale della misurazione. Questo richiede definire la durata del periodo di osservazione. Per esempio si può scegliere di misurare cosa accade durante lo svolgimento di un progetto, o ne posso misurare i benefici a distanza di sei mesi o a uno o più anni. In questa fase si concentrano maggiori costo della misurazione non solo in termini economici ma anche di time consuming e sforzo organizzativo.

Due ultimi punti di attenzione a riguardo. Il primo è che decidere di misurare qualcosa ex-post pone problemi di reperibilità di dati primari e solidità degli indicatori: si misura ciò che si può e non quello che è utile rilevare. Quindi è importante progettare la misurazione ex-ante. Il secondo è che una seria attività di misurazione richiede tempo e un significativo orizzonte di osservazione. Scelte semplificative sicuramente possono ridurre i costi di questa attività, ma anche di gran lunga i benefici.

Molta della sua attività di ricerca su questi temi ha riguardato la valutazione d’impatto degli interventi in favore dell’inclusione sociale delle persone in esecuzione penale e, quindi, la misurazione della recidiva, tema a cui è dedicata la seconda parte del libro. Perché è importante parlare di impatto sociale anche in questo ambito?

Vi è un’abbondante e sempre crescente mole di ricerche che studiano le attività trattamentali svolte negli istituti di pena e nelle comunità, con l’obiettivo di comprendere se e in che misura la componente rieducativa, più che punitiva, possa produrre effetti positivi e quali siano i programmi da privilegiare in quanto più efficaci. Il sistema giustizia è contraddistinto da caratteristiche organizzative e strutturali tali per cui l’introduzione e il mantenimento di sistemi di misurazione dei risultati sia nel breve che nel lungo periodo, appunto la recidiva, presenta sicuramente rischi e complessità specifiche di rilevazione dei dati.

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Per chi si occupa di sociale o dichiara di porsi obiettivi di natura sociale, che un’organizzazione sia non profit, impresa o pubblica amministrazione, avviare percorsi di misurazione d’impatto sociale è una questione di credibilità

Quali sono alcuni rischi e complessità specifiche di rilevazione dei dati?

Per esempio la necessità di far comunicare sistemi informativi di più amministrazioni o la privacy e il trattamento di dati sensibili. Ma in questa fase storica di riflessione sulle finalità e le modalità con cui il sistema penale realizza la propria missione, l’uso della misurazione d’impatto può accompagnare e sostenere un processo di apprendimento e cambiamento organizzativo. È attraverso un puntuale monitoraggio dell’impatto dei propri programmi e delle politiche messe in campo in questo ambito che i decisori pubblici e gli enti impegnati nella giustizia penale possono non solo avere indicazioni circa gli esiti degli interventi ma dare senso e riconoscimento al lavoro degli operatori penitenziari e di tutti gli attori del sistema giustizia.

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