26 Agosto 2025
vino penalizzato, ma ci sono ancora sei mesi per trattare


Al Meeting di Rimini oggi si parlerà delle eccellenze dell’agroalimentare italiano insieme al Ministro Lollobrigida

Al Meeting di Rimini oggi si parlerà delle eccellenze italiane, in particolare del comparto agroalimentare, in un incontro al quale parteciperà anche Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, cui abbiamo rivolto alcune domande.

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Pensando al titolo del Meeting, il comparto agroalimentare italiano può contribuire a contrastare il rischio che aree del Paese, specialmente quelle interne, si spopolino, diventando simili a deserti?



L’agricoltura ha da sempre una duplice funzione: garantire la sovranità alimentare e la salvaguardia del territorio. È un’attività che è una risorsa per l’economia e in più tutela l’ambiente. L’uomo se si interessa del creato lo rafforza, lo rende più ricco proprio perché è funzionale alla vita delle persone. Cicerone, infatti, diceva che di tutte le arti dalle quali si trae profitto, l’agricoltura è la più nobile. Gli agricoltori vivono il territorio, lo presidiano, lo rendono ricco e viceversa…


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Cosa avete fatto per sostenere questa visione?

L’agricoltura era vista come la sorella minore delle attività produttive e, paradossalmente, nemica dell’ambiente. Abbiamo riaffermato che gli agricoltori sono i custodi dell’ambiente, e che l’agricoltura è un’attività remunerativa. Abbiamo messo a disposizione del settore oltre 11 miliardi di euro in “mattoni nuovi” per rafforzare gli investimenti, i contratti di filiera, l’innovazione e il ricambio generazionale.

I risultati si sono visti: per l’Istat l’agricoltura traina l’economia italiana, ha fatto 70 miliardi di euro di export nel 2024 e il reddito degli agricoltori è cresciuto del 12,5%, prima in Europa. Con Coltivaitalia, una legge che garantisce oltre un miliardo di euro in investimenti nei settori cruciali dell’agricoltura, abbiamo dato i mezzi per garantire un futuro solido all’agricoltura.



Come?

Oltre a investire nei contratti di filiera, nell’allevamento italiano, in un piano olivicolo nazionale garantendo 900 milioni di euro di investimenti, abbiamo investito in ricerca e ricambio generazionale. Per gli under 40 garantiamo un fondo da 150 milioni di euro per facilitare l’accesso al credito, mettiamo a disposizione oltre 8.000 ettari di terre in comodato gratuito che potranno essere riscattate dopo 10 anni al 50% del valore. In più investiamo in ricerca e stiamo rafforzando una serie di accordi internazionali per rafforzare l’attività degli istituti agrari.

L’ultimo, firmato con il collega Valditara e la mia omologa francese Gevenard, permetterà agli studenti delle due nazioni di effettuare esperienze di studio internazionali tra Francia e Italia. Non vogliamo solo che i giovani lavorino in agricoltura, ma vogliamo che siano formati e a conoscenza delle tecniche e delle tecnologie all’avanguardia. I territori e soprattutto le aree interne hanno bisogno di agricoltura e di giovani per rimanere vive.

Ci sono aree dove questa inversione di tendenza è già visibile?

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Ci sono esempi virtuosi. Prendiamo la bassa Lombardia: questi luoghi, un tempo poco attrattivi, oggi valorizzano l’identità territoriale e quindi potranno attrarre nuove forme di presidio umano. Nelle filiere di eccellenza, come quella del Parmigiano o del Grana, la creazione di valore viene distribuita su tutta la filiera facendo così salire la marea per tutti e rendendo conveniente impegnarsi nelle attività connesse a queste produzioni. Il risultato è che abbiamo osservato una discesa significativa dell’età media degli operatori e una rivitalizzazione dei territori.

Quando ci sono opportunità si costruiscono comunità: lavoro vicino ai campi, scuole e presidi aperti, paesaggi e Dop valorizzati. Più filiere, più comunità, più vita nei territori: questa è una delle risposte al rischio del “deserto”.

Dazi Usa, la lettera di Trump alla UE (ANSA-EPA 2025)

A proposito del comparto agroalimentare italiano, quali pensa che saranno alla fine gli impatti dei dazi Usa? Ci saranno compensazioni per i settori più colpiti?

Per un Paese esportatore come il nostro, nessun dazio è positivo. Alcuni prodotti, come il vino, hanno visto aumentare i dazi. Al contrario, per altri prodotti i dazi sono scesi dal 25% al 15%. Il 15% è ovviamente di più di nessun dazio, soluzione auspicabile come risultato della trattativa che ci sarà nei prossimi sei mesi, ma sicuramente è meno del 50% o del 30% o del provocatorio 200% sul vino. Sono ipotesi che fino a poco tempo fa prendevano le prime pagine dei giornali e adesso parliamo di altri numeri.

Per questo dico che bisogna valutare con oggettività l’effetto che avranno, vediamo i cittadini statunitensi se continueranno a comprare la qualità italiana, e come sempre il supporto del Governo Meloni non mancherà se dovesse essere necessario.

C’è la possibilità di cercare nuovi mercati di sbocco per i prodotti penalizzati dalle tariffe, anche all’interno dell’Ue e non solo all’esterno?

Il primo mercato di riferimento per il nostro export è l’Ue: più l’Europa sarà forte e vitale, migliori saranno le prospettive per l’Italia. Bisogna quindi consolidare i mercati tradizionali e aprirne di nuovi ovviamente. Siamo al fianco degli imprenditori: con Ice e Maeci abbiamo un Piano d’Azione 2025 per fiere, e-commerce e tutela delle Indicazioni geografiche. Le imprese possono usare strumenti di finanza agevolata per esplorare nuove rotte per l’export. Gli imprenditori cercano sempre di aprire nuovi mercati, siamo al loro fianco per sostenerli in questo percorso.

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In un’intervista dello scorso anno ci aveva evidenziato l’importanza delle modifiche alla Pac sostenute dall’Italia. Un risultato che rischia di essere cancellato con il nuovo Quadro finanziario pluriennale presentato dalla Commissione europea?

Le modifiche alla Pac che prevedono semplificazione, minor burocrazia e maggiore redditività non si toccano e la proposta di Von der Leyen non ci soddisfa. Ci sono ancora due anni prima che il piano entri in vigore e noi continueremo a lavorare perché la Pac non perda centralità e specificità. Abbiamo promosso un documento, sottoscritto da 17 nazioni per evitare un fondo unico che indebolirebbe le politiche agricole e ittiche, riducendone efficacia e stabilità.

Nel frattempo, però, abbiamo ottenuto investimenti europei aggiuntivi per le infrastrutture necessarie all’approvvigionamento idrico, una semplificazione delle procedure per accedere ai fondi e una diversa visione sulla gestione della fauna che non dimentichi la dimensione produttiva della natura. Difendere la Pac significa difendere il reddito agricolo, la sicurezza alimentare e la competitività della nostra agricoltura.

Sempre l’anno scorso aveva evidenziato la necessità di cambiare il Green Deal. Dopo quello che si è visto nei primi otto mesi di attività della nuova Commissione europea pensa che sia possibile questo cambiamento?

C’è un cambio di passo sul Green Deal, con l’obiettivo di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Sosteniamo la transizione verde, ma senza approcci ideologici. Se si mette in discussione il ruolo delle imprese, rischiamo di far crollare le nostre comunità. Perché senza imprese non c’è lavoro, non c’è benessere diffuso, non ci sono risorse per garantire servizi e i diritti. Il Governo Meloni propone un approccio pragmatico: l’impresa non è un nemico da combattere, ma il motore che può rendere possibile la transizione ecologica.

Abbiamo lavorato in questa direzione, per fare due esempi: abbiamo scongiurato che ci fosse una ulteriore riduzione dello sforzo di pesca e il rinvio di altri 12 mesi del regolamento Eudr sulla deforestazione. È evidente che nessuno vuole deforestare l’Amazzonia, ma bisogna rendere applicabili e sostenibili le norme. C’è ancora tanta strada da fare, ma l’Italia continuerà a far valere la propria posizione.

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Quanto ritiene che il nostro comparto agroalimentare sia messo a rischio dalle politiche europee (pensiamo anche ai contributi di Bruxelles per sviluppo delle aziende vitivinicole sudafricane) cui, a differenza dei dazi, è difficile trovare contromisure?

Dobbiamo essere chiari: il comparto agroalimentare italiano può essere messo a rischio da politiche europee che troppo spesso non garantiscono reciprocità negli scambi con l’estero e lealtà concorrenziale. Se viene concesso accesso ai nostri mercati a merci che non rispettano i nostri standard su lavoro, ambiente e sicurezza alimentare, i nostri produttori vengono penalizzati, e non è giusto. I regolamenti devono basarsi su evidenze scientifiche e non su assunti ideologici. 

Ma poi ci sono i nemici interni, sul vino abbiamo visto attacchi ingiustificati: il vino non è un prodotto da demonizzare, ma è parte integrante della nostra cultura e della dieta mediterranea. Bisogna distinguere tra consumo e abuso: si deve informare, non demonizzare. Per questo il Governo Meloni difende i prodotti italiani, tutela Dop e Igp, contrasta le frodi e chiede in Europa regole eque che non penalizzino la qualità.

I dati Istat sull’inflazione di luglio hanno messo in luce un importante rialzo dei prezzi del cosiddetto carrello della spesa. Pensa che, a parte il rinnovo della carta “Dedicata a te”, sia possibile intervenire per fermare questi rincari che colpiscono beni irrinunciabili come quelli alimentari?

Il nostro obiettivo è duplice: sostenere le famiglie, soprattutto quelle numerose e più fragili, e aumentare la produttività delle filiere. La Carta “Dedicata a te” sostiene gli acquisti di 1,3 milioni di famiglie in difficoltà e a questo affianchiamo altre azioni concrete, tra cui il rafforzamento delle filiere e della logistica per ridurre i costi a monte, incentivi all’energia rinnovabile nelle aziende agricole come il fotovoltaico sui tetti per ridurre la bolletta, e patti antinflazione sui beni essenziali.

Quanto ritiene importante il ruolo del Terzo settore per contrastare la povertà alimentare?

Il Terzo settore svolge un ruolo importantissimo: stare vicino alle fasce più deboli della popolazione e lavorare perché nessuno rimanga indietro. Per questo abbiamo aumentato la dotazione strutturale del fondo indigenti, portandolo da 4,9 a 50 milioni di euro. La distribuzione di prodotti alimentari può contare oggi su una collaborazione forte con le istituzioni. Le comunità volontarie, tutto il Terzo settore, sono un presidio sociale indispensabile a cui va garantita la possibilità di programmare le proprie attività per rendere ancora più efficace la loro azione.

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