27 Agosto 2025
Più di 2mila fondi Esg europei investono nelle armi nucleari


Il concetto stesso di finanza Esg (cioè basata su criteri ambientali, sociali e di governance) sembra avere ben poco a che fare con le armi nucleari, le più letali e distruttive che l’essere umano abbia mai messo a punto. Questo, almeno, in linea di principio. Ma la realtà è ben diversa. Bloomberg, dopo aver passato in rassegna varie fonti, fa sapere che i fondi Esg europei esposti all’industria delle armi nucleari sono più di 2mila. Un numero cresciuto di oltre il 50% rispetto alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina.

Quanti fondi Esg sono esposti al settore delle armi nucleari

Bloomberg ha scandagliato i portafogli dei fondi Esg per cercare i titoli di aziende come Bae Systems, Airbus, Dassault Aviation, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Rheinmetall, Thales. Molte di esse non producono direttamente armi nucleari ma partecipano comunque alla loro filiera, perché fabbricano componenti o forniscono servizi di vario tipo, tra cui i trasporti. È il caso dell’italiana Leonardo, anch’essa nella lista perché controlla – insieme a Airbus e Bae Systems – il consorzio francese Mbda, impegnato nello sviluppo di missili con capacità nucleare.  

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Il regolamento Sfdr (Sustainable finance disclosure regulation) suddivide i fondi sostenibili in due categorie. Tra i fondi articolo 8, che si limitano a promuovere istanze Esg, sono oltre 2mila quelli che investono nelle aziende legate alle armi nucleari. Per un totale di circa 20 miliardi di dollari, l’1,2% del loro valore di mercato complessivo. Molto più sporadica la presenza di questi titoli nei portafogli dei fondi articolo 9, che si pongono come obiettivo primario le istanze ambientali, sociali e di governance. Nell’insieme, su 4.584 fondi Esg analizzati, sono 2.094 quelli che investono nell’industria delle armi nucleari. Nel 2022, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, erano 1.339.

I mercati plaudono al riarmo, il Sipri avverte sui pericoli

Con circa 7.700 miliardi di euro in gestione, i fondi europei controllano la stragrande maggioranza degli asset Esg: l’80% del totale globale. Ciò significa che, inevitabilmente, dettano la linea su ciò che può essere definito “sostenibile”. Visto che negli ultimi mesi le istituzioni europee hanno puntato tutto sul riarmo, anche molte grandi società di gestione si sono accodate. Trovando una sponda in Euronext – la principale Borsa paneuropea che riunisce i mercati di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Dublino, Lisbona, Oslo e Milano – che ha addirittura coniato tre nuovi indici che riscrivono il significato della sigla Esg. Non più ambiente (environment), società e governance, bensì energia, sicurezza e geostrategia. Sul tema delle armi nucleari Euronext chiarisce di non avere una “dottrina” specifica, ma di limitarsi a rispettare le normative dei mercati europei.

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Senza dubbio fa gola il fatto che i titoli della difesa stiano vivendo un momento d’oro. L’S&P Global 1200 Aerospace & Defense Index, che misura l’andamento in Borsa delle principali aziende della difesa, ha visto una crescita del 40% dall’inizio di quest’anno. Nello stesso periodo, l’indice S&P dedicato alle energie pulite è cresciuto a un ritmo dimezzato (circa il 20%) e l’S&P 500 Index, che traccia le cinquecento aziende a maggiore capitalizzazione, si è accontentato di un +10%. I mercati, insomma, sembrano entusiasti del riarmo. E dei segnali di «una nuova corsa qualitativa agli armamenti nucleari», per riprendere le parole dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Che comporterebbe rischi addirittura «più diversificati e più gravi» rispetto al passato.



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