28 Agosto 2025
Buyback, in Francia tassa dell’8%: la più severa in Europa. Italia divisa sul modello da seguire: tre scenari possibili




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Un’analisi del Centro studi di Unimpresa fotografa la mappa internazionale delle tasse sui buyback. L’Unione Nazionale delle Imprese sottolinea come la Francia abbia scelto la linea dura: con la legge di bilancio 2025 è entrata in vigore un’imposta dell’8% sui riacquisti di azioni proprie delle grandi imprese, cioè quelle con fatturato superiore al miliardo di euro. Una misura che rende la Francia il Paese con il prelievo più severo d’Europa sui riacquisti e che punta a scoraggiare operazioni che riducono in modo permanente il capitale sociale.

Negli Stati Uniti, invece, dal gennaio 2023 è in vigore un’imposta dell’1% sul valore di mercato dei buyback. Si tratta di una tassa «di consumo», più simbolica che punitiva, che ha già sollevato un acceso dibattito. La misura prevede diverse esenzioni e una regola di compensazione che tiene conto delle nuove azioni emesse nello stesso anno. Secondo i primi dati del Tesoro americano, il gettito generato è stato consistente ma nel 2023 le società statunitensi hanno comunque speso centinaia di miliardi di dollari in buyback, segno che la leva fiscale da sola non basta a invertire la tendenza. 

In Europa il panorama analizzato dal Centro Studi di Unimpresa risulta piuttosto variegato. I Paesi Bassi avevano annunciato una ritenuta del 15% sui riacquisti, di fatto assimilati ai dividendi, ma hanno poi fatto retromarcia con il Tax Plan 2025, preoccupati di perdere competitività rispetto ad altre piazze finanziarie. La Spagna applica dal 2021 una tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,2% sugli acquisti di azioni delle società quotate con capitalizzazione superiore al miliardo di euro. Tuttavia, i buyback sono esclusi se collegati a piani ai dipendenti o riduzioni di capitale, riconoscendo quindi una distinzione tra operazioni speculative e strumenti di governance aziendale. In Irlanda vige ancora l’imposta di bollo dell’1% su tutti i trasferimenti di azioni, inclusi i riacquisti, mentre la Germania non ha introdotto regole ad hoc e si limita ad applicare la normativa fiscale ordinaria.

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Tre possibili scenari per l’Italia

Per Unimpresa, l’Italia si colloca in una posizione intermedia. I buyback rientrano nella Tobin tax, con aliquote dello 0,1% per operazioni su mercati regolamentati e dello 0,2% per quelle over the counter. Restano però escluse le operazioni finalizzate all’annullamento delle azioni, scelta che di fatto attenua il peso fiscale sulle riduzioni di capitale.

«Non è questione di demonizzare i buyback – sottolinea Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa – ma di chiedersi se queste operazioni sottraggano risorse che potrebbero andare a investimenti, ricerca o nuova occupazione. Il rischio è di penalizzare le imprese già fragili con una tassazione eccessiva o duplicata rispetto alla Tobin tax».

Secondo l’analisi di Unimpresa, ora l’Italia potrebbe muoversi in tre direzioni: seguire il modello statunitense con un’imposta leggera e generalizzata, ispirarsi alla Francia colpendo solo le riduzioni di capitale, oppure rafforzare la Tobin tax. In ogni caso, la definizione della base imponibile e delle eccezioni sarà cruciale: quali soglie introdurre, se limitare il campo alle quotate, come trattare i piani ai dipendenti o i riacquisti legati a fusioni e acquisizioni.

Un ulteriore nodo riguarda la competitività dei mercati finanziari. Unimpresa evidenzia come un prelievo troppo oneroso rischi di spingere le società a spostare le operazioni verso giurisdizioni più favorevoli. D’altra parte, una tassa calibrata potrebbe garantire risorse nuove allo Stato senza compromettere l’attrattività di Piazza Affari. (riproduzione riservata)



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