28 Agosto 2025
La manovra senza soldi e poche idee, con il peso del riarmo e della stabilità


Tagli da 13 miliardi all’anno per i prossimi sei imposti dal rispetto del patto capestro di stabilità firmato senza fare una piega. Condoni e favori agli evasori, usando i soldi dei contribuenti, nell’illusione di aumentare i salari e riavviare una crescita dello zero virgola sospesa tra le incertezze dei dazi di Trump e la certezza decennale di dare 450 miliardi di euro complessivi in più ai militari come richiesto dalla Nato.

E poi ci sono i “pizzicotti” auspicati dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti alle banche che sono tra i vincitori delle policrisi iniziate dal Covid. Le stesse che non hanno alcuna intenzione di ricominciare la commedia degli equivoci sulle tasse sugli extraprofitti che si sono trasformate in un regalo da restituire con gli interessi.

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Nel fracasso della ripresa di fine agosto il governo si accinge a compilare la quarta legge di bilancio del suo mandato. Sarà in ogni caso il frutto di un’impostazione regressiva che danneggia i suoi presunti beneficiari. Lo dimostra il contraccolpo registrato sul taglio del cuneo fiscale, la principale misura economica avviata in questi anni per supplire all’emergenza dei salari già bassi e dissanguati dall’inflazione cumulata. Come ha dimostrato tra gli altri l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, tale misura ha aumentato di poco il reddito del lavoro dipendente a basso reddito e ha aumentato l’imposizione fiscale. Poche decine di euro in più sono stati così restituiti in forma di tasse.

Senza contare, come osserva il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, che i soldi dai quali il governo ha preso le risorse sono quelli degli stessi lavoratori dipendenti e dei pensionati: nel 2024, hanno subito un drenaggio fiscale di oltre 25 miliardi di euro. Una presa in giro spacciata per colpo di genio a sostegno del famoso “ceto medio”, pilastro della “nazione”. Giorgetti ripete che non c’è alcuna risorsa a disposizione, né “tesoretto”. Se ce n’è uno, serve a ripagare gli interessi sul maxi debito pubblico, oppure a ingrossare l’avanzo primario e anticipare di un anno l’uscita dalla procedura di infrazione Ue per deficit eccessivo.

È uno dei motivi che rendono orgoglioso un esecutivo austeritario, così ligio al “pilota automatico” di Bruxelles da non riuscire a trovare le risorse richieste per scorporare le spese militari dal calcolo del deficit e finanziare il piano Rearm Europe. Va anche ricordato che, se e quando il governo uscirà dalla procedura di infrazione, non potrà spendere di più per sanità, scuola e università, welfare e servizi. La spesa netta non potrà crescere più dell’1,5%. Altra condizione capestro accettata dal governo in un momento in cui invece occorrerebbe fare l’opposto: investimenti, piani industriali e la trasformazione di un’economia da terziario povero.

Il governo dei “patrioti”, liberisti come tutti, si è rimesso a cavalcare il ronzino degli sconti fiscali, ovviamente a beneficio delle imprese e del ceto medio affluente. L’idea è mettere mano all’Irpef per i redditi fino a 60 mila euro dal 35 al 33%, abbassare l’Ires che finanzia una parte della sanità, mentre si straparla di una nuova maxi rottamazione delle cartelle. Però non c’è ha alcuna idea di come finanziare queste iniziative che colpiscono i ceti medio bassi e i servizi. A parte la fatale alternativa: tagliare di più la spesa o aumentare le tasse. La prima opzione procede con vari stratagemmi, la seconda è fuori discussione. Il risultato sarà ugualmente disastroso.

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Le stesse incognite gravano sull’annuncio di un nuovo “piano casa”, vaticinato anche da Salvini, e la promessa rinnovata ieri da Meloni sul calo del costo strutturale dell’energia per le imprese. Sarà interessante capire se è la stessa iniziativa agitata da anni (occorrerebbe rovesciare l’impianto normativo europeo e la finanziarizzazione dell’energia). E andrà capito come la promessa si combinerà con l’impegno ad acquistare il gas Usa, una delle condizioni di servaggio a Trump firmata anche da Meloni insieme all’impegno di aumentare la spesa militare al 5%.

Nell’inerzia il governo mantiene saldi i principi regressivi. In mancanza di politiche per la crescita la proposta di usare i Tfr, cioè i soldi dei lavoratori per andare in pensione a 64 anni e aumentare i salari è uno di questi. È l’esito dell’incapacità, e dell’impossibilità, di rispettare gli annunci contro l’aumento dell’età pensionabile (“riforma Fornero”). Passerà tutto dopo le elezioni regionali e sarà stato un pizzicotto d’estate.



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