28 Agosto 2025
Le aree interne non vanno condannate a morte, ma accompagnate verso una rinascita


Un paesino di 370 abitanti. C’è il giornalaio, il parrucchiere, una scuola. C’è vita. Poi l’inverno demografico: la scuola chiude, perché due-tre bambine e bambini non bastano a tenerla aperta. Gli adolescenti si ritrovano soli, senza compagnia. I negozi abbassano le saracinesche, manca ricambio generazionale. I giovani adulti se ne vanno, i turisti non arrivano.

È la storia reale di Collalto Sabino, piccolo Comune della provincia di Rieti, ma anche di tanti borghi delle aree interne. Paesi rimasti soli, senza sostegni adeguati per contrastare lo spopolamento. Eppure, Collalto è anche una storia di rinascita, una delle tante storie di luoghi del nostro Paese che provano a reagire grazie all’impegno dei sindaci, delle pro loco, delle reti locali di cittadine e cittadini. Sono paesi che non vogliono sparire e che si sentono cuore vivo dell’Italia, un pezzo del Paese che non accetta di essere oggetto di un accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”, come recita il Piano strategico nazionale delle aree interne del Governo.

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Hanno dato voce a questo sentimento 139 cardinali e vescovi che nei giorni scorsi hanno firmato una lettera aperta al Governo e al Parlamento per chiedere un cambio di passo.

Riteniamo che si debba ribaltare la definizione delle aree interne, passando da un’esclusiva visione quantitativa […] a una narrazione che lasci emergere una visione qualitativa delle storie, della cultura e della vita di certi luoghi”, segnalano i firmatari, tra cui monsignor Felice Accrocca (arcivescovo di Benevento e primo firmatario) e il cardinale Matteo Maria Zuppi (arcivescovo di Bologna e presidente della Cei). Significa incoraggiare esperienze di rigenerazione coerenti con le originalità locali, incentivare il controesodo con misure economiche e fiscali, sviluppare smart working e co-working, agricoltura innovativa, turismo sostenibile, valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, trasporti dedicati, recupero dei borghi abbandonati, co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità e telemedicina.

Proprio sulle originalità locali ha puntato Collalto Sabino, che 13 anni fa ha avviato la rinascita del borgo con “Il paese di Babbo Natale”. Un’iniziativa che, nel periodo natalizio e non solo, anima il paesino con botteghe di artisti, artigiani e produttori locali, intrattenimento per bambini e una casetta dove incontrare Babbo Natale. Angelo Lugli, presidente della Pro loco, e Fedora Proietti, membro della Pro loco, raccontano così l’origine dell’iniziativa: “Il paese di Babbo Natale è nato per far venire gente, ripopolando il borgo, ma anche per sostenere le attività locali. Abbiamo creato il terreno per permettere a chi aveva idee di metterle in pratica”. Questo “in un periodo in cui il paese si ferma, diventa completamente morto”. Da lì sono arrivate sagre, serate musicali e quant’altro. Il paese ha ripreso vita. Sono stati riqualificati parchi, realizzata una pista ciclabile e sono state messe a disposizione strutture ricreative per le giovani e i giovani. È stato introdotto il sistema di gestione dei rifiuti “Porta a porta” e Collalto è entrato a far parte dei “Comuni ricicloni” (comuni che si distinguono per la gestione virtuosa dei rifiuti), con una raccolta differenziata del 64,5%, tra le migliori della provincia di Rieti.

Collalto Sabino ha beneficiato anche dei fondi Pnrr, insieme a Paganico e Castel di Tora. Grazie a un bando vinto in forma associata, i tre Comuni hanno avviato attività culturali e ricreative (teatro, musica, laboratori, un battello elettrico, ecc.), ristrutturato chiese e la sede della pro loco, creato una sala polifunzionale e spazi rigenerati. Un’opportunità che testimonia come la collaborazione possa portare grandi benefici. “È stato anche importante aver unito pubblico e privato”, sottolinea Lugli, “i privati locali, infatti, potevano entrare a far parte del bando, ottenendo vantaggi per sé e per il territorio”.

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Raccontare storie di rinascita come quella di Collalto può ispirare altri paesi e far conoscere le piccole realtà del nostro territorio al grande pubblico. È quello che fa la trasmissione “Generazione bellezza”, su RaiTre, che racconta il valore della bellezza italiana con storie di luoghi, persone e progetti che valorizzano il nostro patrimonio culturale, portando alla luce chi ogni giorno si impegna per dare nuova vita a ciò che rende unico il nostro Paese. Anche la condivisione tra paesi è fondamentale: aderendo alla Rete dei Comuni sostenibili, ad esempio, si entra a far parte di una comunità che accompagna gli enti locali nella pianificazione di strategie sostenibili, nella misurazione dei risultati tramite indicatori specifici e nello scambio di buone pratiche ed esperienze tra i membri per migliorare la qualità della vita nelle comunità. Ma i problemi sono tanti per cambiare stabilmente direzione.

Quello che potevamo fare come associazioni lo abbiamo fatto e lo continueremo a fare, ma sul resto ora tocca al Governo e alla Regione”, osserva Lugli. “Portare la fibra ottica, non chiudere le scuole o almeno garantire un pulmino per ogni Comune per portare i bambini a scuola, potenziare l’ambulatorio di prossimità, sono questi gli interventi da fare nei paesi, ma mancano fondi, infermieri, macchinari, ecc.”, prosegue. “C’è anche la necessità di potenziare i treni per agevolare i pendolari e si potrebbero affrontare carenze strutturali come quella dell’acqua, che qui manca, la notte viene chiusa, quando qui vicino c’è un fiume che si potrebbe sfruttare”. Il messaggio è chiaro: le associazioni fanno la loro parte, ma “i piccoli comuni vanno avanti a stento” e senza un impegno della politica e delle istituzioni non ci può essere una vera rinascita.

L’esperienza di Collalto e quella di tanti altri Comuni mostrano come le aree interne possano resistere grazie a creatività e buone pratiche, raccontate anche dalla rubrica settimanale “Voci dal territorio” e nel Rapporto Territori dell’ASviS (qui la call sulle buone pratiche per la nuova edizione). Quando si parla di “aree interne” molti pensano che si tratti di piccole porzioni isolate, ma in realtà esse rappresentano il 60% del territorio nazionale, perché l’Italia non è fatta solo di grandi città, ma anche di piccole realtà custodi di memorie, identità e patrimonio culturale. Per questo il cardinale Zuppi ha rilanciato l’appello:

“Il nostro Paese non accetti un piano inclinato di rassegnazione, di denatalità e di mancanza di speranza, ma con attenzione scelga di costruire il futuro difendendo la vita e accogliendo la vita. La nostra riflessione – ha aggiunto – non è accanimento terapeutico. Siamo contrari all’eutanasia di questi territori. Servono le terapie opportune perché possano dare nuovi frutti. Bisogna guardare lontano, con un percorso che sia plurale e condiviso”.

Tradurre gli appelli in politiche concrete richiede almeno tre impegni, come ha sottolineato Elena Granata su Avvenire. Primo, ripensare le “città-fuori-dalle-città” e rafforzare i legami tra territori: la varietà italiana non è un ostacolo, ma una ricchezza da valorizzare, ancor più dopo un’estate segnata da contrasti tra mete sovraffollate e luoghi dimenticati. Secondo, superare la visione fatta da un lato dalla logica dell’attrattività – attirare capitali a tutti i costi in alcune città o su alcuni progetti – e dall’altro dalla logica dell’abbandono. Infine, custodire beni comuni e patrimoni culturali e naturalistici in chiave innovativa e sostenibile: non basta evocare la “Bella Italia” o i borghi come museo a cielo aperto, serve sperimentare nuovi modelli di relazione con il territorio e le risorse.

Per combattere lo spopolamento delle aree interne si possono prevedere incentivi fiscali e sostegni mirati a chi sceglie di trasferirsi o tornare nei borghi per favorire un nuovo radicamento, così come misure per le imprese agricole e artigiane che custodiscono saperi tradizionali e li rinnovano in chiave moderna. Fondamentale è anche garantire servizi di base – scuole, trasporti, sanità di prossimità – senza i quali ogni progetto di rilancio rischia di restare sulla carta.

Rigenerare significa inoltre investire nella qualità della vita e nel capitale sociale dei territori. Recuperare case abbandonate, creare comunità energetiche per ridurre costi e dipendenze, valorizzare il turismo lento e sostenibile fatto di cammini, natura ed enogastronomia, sostenere associazioni e cooperative locali che tengono viva la comunità: sono tutte strade possibili.

Alle aree interne non serve un accompagnamento verso lo spopolamento irreversibile, una vera e propria eutanasia, ma un accompagnamento verso la rinascita: sostenere comunità, servizi e lavoro significa restituire futuro a territori, a comunità e a persone che non vogliono scomparire ed “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione.

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