
Leggi italiane poco chiare e troppo complesse: ostacolano imprese e cittadini, alimentano incertezza giuridica e frenano investimenti. Ecco cause e conseguenze.
La qualità della legislazione è un tema centrale per il funzionamento di ogni ordinamento democratico ed economico. Una legge ben scritta non è soltanto un testo normativo, ma rappresenta lo strumento attraverso cui cittadini, imprese e istituzioni comprendono regole, diritti e doveri.
In Italia, però, la scrittura delle leggi soffre da decenni di problemi strutturali: testi eccessivamente lunghi, densi di rinvii e tecnicismi e formulati in modo oscuro e poco chiaro. Questo difetto non è un mero dettaglio stilistico, ma si traduce in una vera e propria incertezza giuridica che frena gli investimenti (specialmente quelli stranieri), ostacola la competitività e mina la fiducia nelle istituzioni.
Il problema delle leggi italiane poco chiare: il caso del Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza
Un esempio emblematico di questa situazione è rappresentato dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato in vigore nel gennaio 2019 con l’obiettivo di semplificare e rendere più organiche le procedure di gestione delle difficoltà aziendali. In realtà, la sua storia normativa dimostra esattamente il contrario: in appena cinque anni il Codice è stato sottoposto a ben tre interventi correttivi, l’ultimo nel 2024.
Il prodotto finale è un testo continuamente ritoccato, instabile e frammentario. La dottrina e le associazioni di categoria hanno evidenziato alcuni difetti strutturali: la presenza di innumerevoli rinvii interni ed esterni, che obbligano l’interprete a un continuo “salto di norma in norma”, l’uso di definizioni ambigue e tecnicismi ridondanti, che rendono difficile l’applicazione concreta delle disposizioni, la scarsa coerenza sistematica dovuta alle stratificazioni normative.
Invece di semplificare, il CCII è diventato un esempio paradigmatico di legislazione “viva”, ma al contempo confusa, in cui la frequenza delle modifiche alimenta l’incertezza interpretativa. Il legislatore, anziché fornire uno strumento chiaro, preciso e organico, idoneo a risolvere efficace situazioni di crisi economica delle imprese, ha poste queste ultime di fronte a una cornice normativa che genera dubbi e rallentamenti.
Anche la giurisprudenza complica il quadro tra motivazioni prolisse e rinvii
Alla produzione normativa già complessa e quindi alle leggi italiane poco chiare, si aggiungono, spesso, sentenze e provvedimenti giudiziari anch’essi oscuri e poco chiari. In particolare, le sentenze presentano alcuni tratti problematici, tra cui:
- motivazioni eccessivamente prolisse: l’obbligo costituzionale di motivazione (art. 111, co. 6, Cost.) spinge giustamente ad argomentare le decisioni, ma nella prassi ciò comporta motivazioni-fiume, con periodi lunghi, incisi multipli e ragionamenti che faticano a isolare le rationes decidendi. La stessa Scuola Superiore della Magistratura pubblica guide alla redazione dei provvedimenti per promuovere strutture più leggibili e lineari, proprio perché il bisogno di chiarezza è riconosciuto dall’interno della magistratura;
- catene di rinvii giurisprudenziali: altra questione attiene ai richiami frequenti, da parte dei giudici di merito e legittimità, ai precedenti della Corte di Cassazione, delle Sezioni Unite, orientamenti minoritari, ulteriori arresti conformi o difformi. Tale stratificazione di richiami può rendere la motivazione poco fruibile per chi cerca un criterio operativo immediato.
Sono noti, peraltro, i tentativi di correzione: protocolli condivisi tra Cassazione e Consiglio Nazionale Forense – sia in materia penale sia civile – puntano a chiarezza e sinteticità, fissando schemi redazionali e limiti dimensionali degli atti (ad esempio, memorie entro un certo numero di pagine), nel segno di un processo più leggibile.
Leggi italiane poco chiare: impatto sul tessuto economico italiano
Le conseguenze di un impianto normativo e giurisprudenziale poco chiaro si riflettono direttamente sull’economia. Studi economici recenti hanno stimato che la cattiva qualità delle leggi italiane comporti una perdita potenziale di crescita pari a circa il 5% del PIL, ossia oltre 100 miliardi di euro ogni anno.
Le imprese straniere che valutano un investimento in Italia si scontrano con un doppio ostacolo: da un lato, la necessità di ricorrere a consulenze specialistiche costose per interpretare correttamente il quadro normativo; dall’altro, il rischio di dover affrontare esiti giudiziari imprevedibili, perché la stessa legge può essere letta in maniera diversa da tribunali differenti.
È evidente che, in un contesto globale altamente competitivo, questo costituisce un forte deterrente: spesso è più conveniente scegliere Paesi dove le regole sono più stabili e leggibili.
Il risultato è un circolo vizioso: la complessità normativa riduce la fiducia degli investitori, frena l’innovazione e limita la crescita dell’occupazione, aggravando il divario dell’Italia rispetto ad altri sistemi economici europei.
Ignorantia legis non excusat: una contraddizione irrisolta
Oltre il danno, anche la beffa. Ebbene sì, perché oltre alle leggi italiane poco chiare e complesse, si aggiunge uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, contemplato dall’art. 5 del Codice penale, sancisce che ignorantia legis non excusat (l’ignoranza della legge non scusa). In base a questo brocardo, nessuno può invocare a propria difesa l’ignoranza della legge.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 364/1988, ha affermato che la non conoscenza della legge penale è scusabile, allorquando sia incolpevole e inevitabile.
Il richiamato principio veniva altresì applicato dalla giurisprudenza romana, che qualificava come scusabile l’errore se commesso da soggetti privi di un’adeguata conoscenza del diritto, in quanto immaturi o incolti.
Tornando ai giorni nostri, il problema sorge quando il contenuto della legge, pur essendo formalmente accessibile, risulta di fatto incomprensibile ai cittadini e perfino agli operatori del diritto. Se il legislatore produce testi farraginosi, pieni di eccezioni, rimandi e formule oscure, pretendere che il cittadino medio – o la piccola impresa – li conosca e li rispetti in modo consapevole diventa una finzione giuridica.
Leggi anche: IRES premiale 2025: via libera al taglio dell’aliquota per le imprese che puntano su investimenti e occupazione
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link