1 Settembre 2025
Formazione e AI, l’Italia è pronta ad affrontare la sfida?


L’Italia è pronta ad affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale? Non si tratta solo di utilizzare dei software. Servono investimenti e infrastrutture, ma soprattutto competenze. E per ottenerle è indispensabile la formazione. L’indicazione arriva chiara dall’AI Act, il regolamento europeo in vigore da agosto 2024 che fornisce le linee guida da seguire. Obiettivo è limitare i rischi per i cittadini, per i loro diritti fondamentali e per gli interessi pubblici.

Gli obblighi

All’articolo 4, la norma sancisce l’obbligatorietà della formazione in materia: «I fornitori e i deployer dei sistemi di AI adottano misure per garantire nella misura del possibile un livello sufficiente di alfabetizzazione in materia di AI del loro personale, nonché di qualsiasi altra persona che si occupa del funzionamento e dell’utilizzo dei sistemi di AI per loro conto, prendendo in considerazione le loro conoscenze tecniche, la loro esperienza, istruzione e formazione. Nonché il contesto in cui i sistemi di AI devono operare, e tenendo conto delle persone o dei gruppi di persone su cui i sistemi di AI devono essere utilizzati».

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Le scadenze

In questo quadro, è entro il 2 agosto 2026 che le disposizioni del regolamento diventeranno operative. Le imprese avranno come orizzonte temporale questa data per adeguarsi. E dovranno farlo di conseguenza anche sul piano della formazione obbligatoria, per ruoli che abbiano attinenza con il suo uso e nella supervisione dei sistemi. Ancora un anno poi, ed entro il 2 agosto 2027 chi utilizza sistemi di AI ad alto rischio già attivi o modelli generativi commercializzati prima del 2025 dovrà adeguarsi agli obblighi del regolamento, inclusi gli obblighi di alfabetizzazione. Non ci si potrà più improvvisare perché l’uso degli strumenti è spesso integrato in processi decisionali rilevanti.

Gli investimenti

Per spingere in tal senso, l’Europa sta mettendo in campo investimenti corposi. Nel periodo 2021-2027, attraverso le politiche di coesione, saranno stanziati oltre 44 miliardi di euro destinati a un Mercato del lavoro più equo, resiliente e inclusivo. Fondamentale sarà garantire ai cittadini le competenze necessarie per affrontare i cambiamenti in atto.

L’applicazione della norma

C’è da fare però una precisazione importante. L’obbligatorietà della formazione non si applica in modo generico a tutte le aziende o ai dipendenti. Non interessa cioè chi utilizza strumenti come ad esempio ChatGPT, Midjourney o software di automazione nella vita quotidiana dell’ufficio. L’obbligatorietà ricade solo sulle imprese che sviluppano o utilizzano i cosiddetti sistemi ad alto rischio, in settori sensibili come quello sanitario, giudiziario o per le decisioni di credito. E ancora, gli operatori di sistemi che influenzano le decisioni legali o critiche per la sicurezza. Infine i dipendenti che sviluppano, gestiscono o monitorano questi sistemi. Il regolamento UE richiede che queste categorie dispongano di sufficienti competenze in materia, il che richiede una regolare formazione continua o corsi di formazione.

Il costo sul piatto

Un altro nodo è la spesa che devono affrontare le imprese per formare i propri dipendenti. È l’ISTAT a certificare in un rapporto del 2022 come nel complesso i costi per la formazione aziendale siano saliti in termini nominali del 38% rispetto al 2015 (da 4,5 a 6,2 miliardi di euro nel 2020). Le singole componenti di costo riguardano: i costi diretti, il costo del lavoro dei partecipanti ai corsi per le ore dedicate alla formazione e il saldo tra i contributi versati per attività formative e finanziamenti ricevuti. L’incidenza maggiore è rappresentata dal costo del lavoro dei partecipanti ai corsi (che passa dal 59% del 2015 al 60,4%). Con un costo medio per ora di formazione di 56 euro, sostanzialmente uguale, in termini nominali, rispetto al 2015.

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I settori

Poche variazioni risultano anche rispetto al settore di attività economica: i livelli maggiori di costo riguardano, come nel 2015, il mondo dei Servizi finanziari e nell’Industria in senso stretto (rispettivamente con 69 e 61 euro per ora di corso). Valori inferiori alla media si hanno invece nelle costruzioni e nelle attività professionali, artistiche e sportive, con un costo medio orario rispettivo di 50 e 48 euro. Se viene considerata la dimensione aziendale, si nota una tendenza all’aumento del costo orario generalmente proporzionale all’ampliamento della classe di addetti considerata. Si passa da 49 euro nelle imprese da 10 a 19 addetti a 60 euro in quelle con almeno 500 addetti. Dal punto di vista territoriale, i costi per ora di corso risultano di poco superiori alla media nazionale nelle Regioni del Nord e del Centro, intorno ai 60 euro, mentre costi relativamente più bassi si riscontrano nel Mezzogiorno, con circa 42 euro per ora di corso.

Il ritardo culturale

Le aziende però non sembrano dare troppo peso alla formazione aziendale, in conseguenza anche di una impostazione culturale che tende a sottovalutarla. Solo il 36% degli adulti italiani tra i 25 e i 64 anni ha seguito un’attività di formazione o aggiornamento nell’ultimo anno. Nella media europea è quasi uno su due (Fonte: Rapporto Formazione e Lavoro 2025 di Osservatorio Proxima curato da Enzima12). Guardando al breve periodo il dato migliora: cresce da 9,6% a 11,6% la percentuale di adulti che ha partecipato a formazione nelle quattro settimane precedenti l’indagine Eurostat 2023, il massimo degli ultimi 15 anni. Tuttavia, il problema resta strutturale: scarsa cultura della formazione permanente, difficoltà a conciliare i tempi, ostacoli economici.

I segnali

Emergono segnali di cambiamento. Il 42% delle imprese italiane ha avviato programmi di digitalizzazione, mentre il 30% ha investito in iniziative legate alla sostenibilità ambientale, indicando una crescente consapevolezza delle nuove sfide globali. Ma il quadro resta nel complesso negativo. Nel 2022 le aziende che hanno erogato formazione sono state 727mila e già nel 2023 il numero complessivo di chi ha organizzato o previsto corsi è sceso a 709mila. La vera frattura è però di tipo dimensionale: solo il 21% delle microimprese forma i propri lavoratori, contro il 54% delle grandi aziende. Le più piccole in sostanza faticano a stare al passo. Ma neppure chi forma lo fa abbastanza sull’intelligenza artificiale. Il 41,6% delle imprese eroga corsi ai propri dipendenti in tema di digitalizzazione (soprattutto cyber-sicurezza, tecnologie 4.0, digital marketing), mentre il 30% sulla transizione ecologica, investendo in gestione ambientale, rifiuti, riciclo, efficienza energetica. L’AI non compare tra le priorità.

I fondi disponibili

Altra questione è quella del mancato accesso ai fondi disponibili per sostenere le imprese nella gestione della formazione. Tra i finanziamenti per ora previsti dall’Unione europea (44 miliardi di euro in tutto tra il 2021 e il 2027), rientra anche quella in ambito AI. Ma è scarso l’accesso ai fondi interprofessionali, organismi associativi che promuovono la formazione continua dei lavoratori, finanziando attività apposite per le aziende che aderiscono. Nel 2023 hanno movimentato risorse per oltre 981 milioni di euro, con una crescita di circa il 5% rispetto al 2022. Si tratta di fondi alimentati da una quota dello 0,3% dei contributi previdenziali che le imprese versano all’INPS per i propri dipendenti. Invece di confluire interamente all’ente previdenziale, la quota può essere destinata a finanziare la formazione aziendale attraverso i fondi interprofessionali, che erogano corsi gratuiti o a costi ridotti.

L’intelligenza artificiale

«Con l’intelligenza artificiale possiamo salvare e trasmettere il patrimonio di competenze dei lavoratori esperti, costruendo un ponte tra generazioni e valorizzando il sapere delle imprese», ha detto Vincenzo Vietri, co-founder di Enzima12. «Davanti al silver tsunami, al mismatch e all’inattività femminile, l’Italia rischia di perdere gran parte del suo potenziale produttivo». Occorre riconoscere «la formazione continua come diritto, spingere le PMI a usare i fondi disponibili, rilanciare ITS, giovani e donne, e trasformare l’esperienza dei senior in risorse formative attraverso l’IA».

AI e posti di lavoro

L’AI interesserà quasi il 40% dei posti di lavoro a livello globale, con un impatto ancora maggiore nelle economie avanzate, dove la percentuale salirà al 60% (Fondo Monetario Internazionale). Una situazione che si verificherà come conseguenza di una maggiore diffusione di lavori basati su attività cognitive, particolarmente esposte all’automazione.

Le stime

Secondo le stime del World Economic Forum, entro la fine del 2025 l’IA potrebbe sostituire 85 milioni di posti di lavoro, ma contestualmente crearne 97 milioni di nuovi, spesso legati a ruoli emergenti. Eppure i dati dicono che le aziende non hanno ancora aperto la partita. E proprio a causa del disallineamento tra formazione e bisogni occupazionali l’Italia ha perso 44 miliardi di euro, il 3,4% del PIL dei settori analizzati nel 2023. Cifra che include i costi della ricerca di personale di difficile reperimento e le tempistiche di inserimento che variano tra 2 e 12 mesi.

«Il mismatch di competenze si manifesta su due fronti: le imprese faticano a trovare i profili richiesti e i lavoratori non hanno accesso a percorsi efficaci per sviluppare le skills necessarie. Questo disallineamento non è solo tecnico ma genera inefficienze strutturali, rallenta l’innovazione ed è un costo industriale elevato per il nostro Paese», ha detto Fabrizio Gallante, managing partner di Enzima12.                                       ©️

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📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 1° settembre de il Bollettino. Abbonati!   





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