1 Settembre 2025
quadro stabile, ma i nodi restano



La lettura dei dati Istat

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Dopo la pubblicazione dei dati Istat sull’occupazione, Confcommercio invita alla cautela. “È opportuno sottolineare – si legge nella nota – che i dati mensili derivanti da procedure di destagionalizzazione appaiono, questo mese, in riduzione rispetto alle stime precedenti”. Non un vero allarme, dunque, ma un avvertimento a non enfatizzare variazioni che potrebbero essere frutto di oscillazioni statistiche più che di tendenze consolidate.

Una fotografia di stabilità

Secondo l’associazione, la dinamica reale va letta come “sostanzialmente stabile negli ultimi sei mesi”. Significa che, al netto delle oscillazioni mensili, il mercato del lavoro non mostra né arretramenti significativi né scatti in avanti. È una fotografia che rafforza l’idea di un sistema bloccato, in cui le forze di crescita e quelle di rallentamento si bilanciano, restituendo un quadro di sostanziale immobilismo.

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Le criticità strutturali

Accanto alla stabilità, Confcommercio mette però in evidenza un nodo di fondo. “In questo contesto non mancano, peraltro, fondati elementi di criticità, legati principalmente alla componente femminile: su base annua la crescita delle occupate è molto esigua con la conseguenza che i gap di genere non si riducono con l’auspicata rapidità”, conclude la nota. In altre parole, se il mercato del lavoro nel complesso tiene, a restare indietro sono soprattutto le donne.

Occupazione femminile, un tallone d’Achille

L’Italia rimane tra i Paesi europei con il più basso tasso di partecipazione femminile al lavoro. La media continentale supera il 70 per cento, mentre nel nostro Paese la quota di donne occupate resta ben sotto quella soglia, con divari che si ampliano soprattutto nel Mezzogiorno. La crescita “esigua” delle occupate significa che, nonostante incentivi e campagne di sensibilizzazione, il passo resta troppo lento per colmare il gap.

Il nodo della qualità del lavoro

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Alla quantità si aggiunge il problema della qualità. Molti nuovi contratti femminili sono a tempo determinato, part-time involontario o comunque caratterizzati da bassi salari. Questo limita non solo l’autonomia economica delle donne, ma anche la possibilità di costruire carriere solide e stabili. È un meccanismo che alimenta il divario di genere e frena la crescita complessiva del Paese, perché esclude dal pieno utilizzo una parte consistente del capitale umano disponibile.

Le cause profonde

Le difficoltà affondano le radici in fattori culturali e strutturali. La carenza di servizi per l’infanzia, gli squilibri nella divisione del lavoro domestico, la difficoltà di conciliare carriera e maternità restano ostacoli decisivi. Anche le politiche pubbliche, pur migliorate negli ultimi anni, non hanno prodotto una svolta. I fondi del Pnrr destinati ad asili nido e servizi educativi, ad esempio, procedono a rilento, e i tempi della loro piena attuazione rischiano di allungare ulteriormente l’attesa di un’inversione di tendenza.

L’impatto sull’economia

L’occupazione femminile non è solo un tema di equità sociale, ma anche una leva economica. Un aumento significativo della partecipazione femminile potrebbe portare diversi punti aggiuntivi di Pil nel medio periodo. Non riuscire a colmare il divario significa rinunciare a una quota rilevante di crescita potenziale, proprio in una fase in cui l’economia italiana fatica a superare lo zero virgola.

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Cosa chiedono le imprese

Dal mondo imprenditoriale, e non solo da Confcommercio, arrivano richiami a politiche più incisive: incentivi stabili per chi assume donne, sgravi per le aziende che investono in welfare aziendale, misure strutturali per i servizi alla famiglia. Il tema è cruciale anche per il tessuto delle piccole e medie imprese, che spesso non hanno la capacità di offrire strumenti di conciliazione interni e dipendono fortemente dalle politiche pubbliche.

Una sfida aperta

Il quadro delineato da Confcommercio mostra un Paese che regge ma non avanza, e che rischia di restare indietro sul fronte della parità di genere. La stabilità può sembrare un dato positivo, ma senza crescita inclusiva non basta a ridurre le disuguaglianze. La sfida dei prossimi mesi sarà trasformare la tenuta occupazionale in vera crescita, con particolare attenzione alla componente femminile. Perché senza un aumento consistente dell’occupazione delle donne, parlare di sviluppo resta un obiettivo incompiuto.

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