
In tema di inerenza dei costi d’impresa, l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità appare piuttosto consolidato (e condivisibile) in merito a quale contenuto ascrivere a tale principio; criticabile risulta, invece, l’approccio che la Corte di Cassazione continua a prospettare circa il riparto dell’onere della prova nei relativi giudizi.
Ai fini del giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, non deve essere riscontrato un rapporto in termini di causa-effetto fra il costo e l’attività. Poiché il concetto aziendalistico e quello civilistico di “spesa” non sono necessariamente legati all’idea di “utilità” o di “vantaggio”, devono considerarsi inerenti anche quei costi che non risultano “profittevoli” all’impresa, in quanto – ad esempio – non comportano un aumento del fatturato, un ampliamento del settore di mercato, un incremento della clientela o l’introduzione di nuovi beni strumentali.
Il sindacato dell’Amministrazione finanziaria non dovrebbe, invece, mai spingersi sino alla verifica sulla necessità o sull’opportunità di sostenere alcuni costi, poiché altrimenti si consentirebbe di entrare nel merito delle strategie aziendali (anche di gruppo), che sono di stretta competenza dell’imprenditore, esercitando un potere svincolato dai presupposti sostanziali e procedurali degli accertamenti in tema di abuso del diritto.
Nessuna norma, del resto, autorizza l’Amministrazione finanziaria a soppesare l’incidenza del costo nella determinazione quantitativa del ricavo. Anzi, poiché l’art. 85, comma 1, lett. a) – e), del TUIR, per definire il “ricavo” opera un chiaro riferimento a ciò che costituisce “corrispettivo”, la tassazione del reddito d’impresa dovrebbe restare ancorata alla tassazione del prezzo effettivamente pattuito fra le parti, ancorché di ammontare sproporzionato, perché fuori mercato o (apparentemente) antieconomico.
Poiché ai fini dell’inerenza occorre vagliare unicamente il potenziale “qualitativo” di ogni spesa, i costi non possono essere riconosciuti deducibili o detraibili solo in parte.
Diversamente, la Cassazione è ancor oggi irremovibile nel ritenere che l’onere della prova dell’inerenza gravi sul contribuente, ossia sul soggetto considerato più “vicino alla prova” e nelle condizioni migliori per assolverla, avendo la “disponibilità del mezzo di prova”. Incomberebbe, cioè, sul soggetto passivo l’onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l’importo dei costi sostenuti, nonché la ragione e la coerenza economica della spesa, al fine della prova dell’inerenza.
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