10 Maggio 2025
Risparmio europeo per le armi


La Ue è oramai un progetto palesemente in affanno, fra le promesse incompiute delle sue origini, oggi pressoché dimenticate (chi si ricorda dell’Europa progetto di pace?) e i tentativi di adeguarsi alla realtà presente. Troviamo una curiosa convergenza fra i due temi in merito all’ultima trovata della Commissione: parliamo della Unione del risparmio e degli investimenti.

Molto diffusa è l’osservazione che la Ue ha puntato tutto su una integrazione di mercato, specialmente monetaria e finanziaria, senza cercare una autentica unità politica (sia che la si consideri la panacea di ogni male o un disastro); o meglio, si è cullata nella illusione che dall’una scaturisse l’altra quasi per magia. Ovviamente ciò non si è verificato.

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Con l’avvento di Trump l’oligarchia Ue ha espresso la volontà di raggiungere una sua autonomia strategica, cioè costruirsi da sola come soggetto politico-militare. A tal fine accanto al ReArm Europe entra in gioco la Unione del risparmio e degli investimenti. Non si tratta di una novità. Già nel 2014 la Commissione Juncker aveva fatto una proposta molto simile chiamata Unione del mercato dei capitali, in seguito riavviata dalla nuova commissione di Von der Leyen. Il punto centrale era mobilitare il risparmio delle famiglie europee, che anziché dormire pigramente nei conti correnti bancari dovrebbe correre a finanziarie l’attività imprenditoriale. Il tramite non saranno più le banche ma il sistema finanziario. Una situazione simile a quella degli Usa, dove una parte molto maggiore della popolazione investe i propri redditi e proprietà in prodotti finanziari: compra azioni, investe in fondi speculativi. Giovandosi di tale sostegno, il mercato dei capitali privati statunitense si sostituisce alle banche come fonte di finanziamento, mentre su suolo europeo tale fonte di intermediazione resta centrale. L’idea era di promuovere il modello nordamericano, uniformando le norme a livello Ue. Nonostante la assenza di vincoli alla circolazione dei capitali che è scolpita nei trattati, esistono una serie di barriere dovute a differenti forme di regolamentazione; tale frammentazione agli occhi delle oligarchie del Vecchio continente suona come una annosa limitazione che preclude quel bengodi che un mercato più sviluppato comporterebbe.

Con gli anni parte delle misure previste è andata a regime, ma non ha generato gli effetti che si speravano. Oggi la stessa idea viene reintrodotta, dando un altro nome alla stessa sostanza politica, che dalla fallimentare Unione del mercato dei capitali diventa la nuova Unione del risparmio e degli investimenti. Vediamo quindi che la stessa strategia di finanziarizzazione, già fallimentare per obiettivi di sviluppo viene riproposta per frenare la crisi europea e per implementare la sua militarizzazione. Quindi viene proposta il 19 marzo scorso la Strategia sulla Unione del risparmio e degli investimenti, che si prefigge di costruire un «ecosistema finanziario» per mobilitare i risparmi degli europei, circa 10mila mld. Gli obiettivi sono un po’ generici: facilitare i risparmiatori nell’investire in prodotti finanziari ad alto rendimento (che significa più rischiosi; questo non viene specificato, chissà come mai…), dare accesso ai finanziamenti non bancare alle imprese, in specie pmi; ridurre la frammentazione normativa; «ridistribuzione delle competenze di vigilanza tra il livello nazionale e il livello dell’Ue». Il punto chiave è chiaramente l’ultimo, ed infatti su questo si consuma lo scontro politico: i paesi più piccoli, guidati dal Lussemburgo, non hanno nessuna voglia di avallare una centralizzazione al livello comunitario che – come sempre è accaduto – cade di fatto nelle mani degli Stati più importanti, in specie la Francia. Anche per questo bisognerà aspettare metà 2026 per ulteriori avanzamenti.

Riproporre una strategia che ha già dato scarsi risultati non pare molto lungimirante, soprattutto tenendo conto di due importanti differenze: in primo luogo oggi l’enfasi è sul comparto militare. Secondo: il declino Ue è conclamato dai suo massimi riferimenti come Draghi e il ricorso alla finanziarizzazione del risparmio viene vissuto come strumento per frenare la crisi ed evitare l’inconsistenza. Visti i precedenti non siamo proprio in una botte di ferro.



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