12 Maggio 2025
Responsabilità sociale d’impresa, retromarcia Ue – Sbilanciamoci


La Commissione guidata da Ursula von der Leyen, influenzata dai venti di destra, sta buttando alle ortiche la legislazione europea volta a favorire la responsabilità sociale e ambientale delle imprese. Un appello di economisti da tutta Europa ne smonta la presunta efficacia.

Nel corso del precedente mandato della Commissione europea sono state adottate varie norme che provano a regolare la responsabilità sociale e ambientale delle grandi multinazionali che operano in Europa. Fra queste misure si annovera il regolamento relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (la c.d. ‘Taxonomy’). Approvato nel giugno 2020, questo regolamento fornisce un sistema di classificazione per gli investitori in modo da identificare se un’attività si possa considerare sostenibile dal punto di vista ambientale. A questo si è poi aggiunta la direttiva sulla rendicontazione aziendale di sostenibilità, approvata nel dicembre 2022, che chiede alle imprese di medie e grandi dimensioni di riportare sulle attività che comportano potenziali rischi ambientali e sociali all’interno della loro catena del valore. Infine, dopo una lunga battaglia in seno al Consiglio, a giugno 2024 – a pochi giorni dalla fine del mandato parlamentare – è stata approvata la direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. 

Benché con molte limitazioni, dovute ad una forte attività di lobbying da parte delle imprese, la direttiva introduceva per la prima volta il principio della responsabilità giuridica delle imprese multinazionali per le violazioni dei diritti umani (sociali e ambientali) lungo la catena del valore, anche al di fuori del perimetro legale dell’impresa. In altre parole, sarebbe stato più difficile scaricare sui soli fornitori, spesso situati in Paesi del Sud globale, la responsabilità per disastri come quello del Rana Plaza, il collasso di un palazzo a Dacca nel quale trovarono la morte più di 1000 lavoratori e lavoratrici del settore tessile in Bangladesh nel 2013.

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Questa legislazione si trova ora sotto attacco, a seguito di una controffensiva delle imprese, che ha trovato ascolto nella nuova Commissione von der Leyen, influenzata anche dallo spostamento a destra sia degli Stati membri sia del nuovo Parlamento. A seguito dell’elezione di Donald Trump, la Commissione sembra aver rispolverato una vecchia parola d’ordine, quella della competitività, e sembra aver trovato nella legislazione sulla sostenibilità sociale e ambientale uno dei principali colpevoli dell’incapacità delle imprese europee di competere sui mercati globali. Brandendo il rapporto Draghi, che tuttavia non menziona nemmeno la direttiva sul dovere di diligenza e che dedica una sola frase al reporting di sostenibilità, la Commissione ha quindi avviato una procedura di revisione (c.d. Omnibus) della Taxonomy, della direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità e quella sul dovere di diligenza.

Un effetto negativo di queste manovre è stato già ottenuto: il Consiglio e il Parlamento hanno approvato una direttiva che sposta in avanti il termine per gli stati membri per applicare le direttive sulla rendicontazione ambientale di sostenibilità e sul dovere di diligenza. La battaglia, ora, si è spostata sui contenuti delle leggi già approvate, che potrebbero essere stravolte dal processo di revisione dell’Omnibus, essenzialmente perdendo di significato. Ad esempio, una delle proposte in discussione è di limitare il perimetro di applicazione della direttiva sul dovere di diligenza solo al primo livello (fornitori diretti) delle grandi imprese. Data però la grande complessità delle catene di fornitura attuali, questo limiterebbe moltissimo gli effetti della direttiva. Un’altra proposta ridurrebbe ulteriormente il numero delle imprese soggette alla legge. Queste, comunque, secondo le stime del centro di ricerca SoMo, sono al momento solo 3.400 (circa 420 in Italia) – un numero molto basso, se si considera che la legge norvegese sul dovere di diligenza, approvata recentemente, ne copre ad esempio circa 8.000. 

Per questo motivo, un gruppo di economisti da tutta Europa ha redatto un appello – disponibile a questo link – per opporsi allo stravolgimento della legislazione di sostenibilità aziendale europeo minacciato dalla procedura Omnibus. L’appello smonta l’argomentazione sulla presunta perdita di competitività causata dalla legislazione di sostenibilità, citando ad esempio uno studio della London School of Economics – peraltro realizzato su mandato della stessa Commissione – che stimava i costi di conformità alle nuove norme ad un solo 0.009 per cento dei ricavi delle imprese. Un prezzo da pagare davvero basso, a fronte dell’enormità dei costi sociali ed ambientali che il capitalismo esternalizza, specie nei paesi del Sud globale.

L’autore,Vincenzo Maccarrone, è un Marie Skłodowska Curie Fellow presso la Scuola Normale Superiore. Si occupa di forme di regolamentazione sovranazionale dei diritti di lavoratrici e lavoratori. Il suo attuale progetto di ricerca, GLOGOLAB, è finanziato dal programma Horizon Europe dell’Unione Europea, grant agreement n. 101067573.

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