24 Maggio 2025
“Dazi al 50% contro l’Europa e imprese in allarme? Non esistono solo gli Usa. Ecco dove investire finché Trump non si calma”


Dazi, difficile per Trump far crescere davvero la produzione industriale. Le aziende devono investire altrove: ecco dove e come

Se con Cina e UK qualche compromesso è stato trovato, con l’Europa il tycoon non sembra voler cedere di un millimetro. E così ha messo sul tavolo l’ipotesi di dazi fino al 50% contro l’Unione a partire da giugno. Il messaggio è chiaro: chi vuole continuare a esportare, dovrà fare i conti con una nuova realtà. E allora? Tocca attrezzarsi. Se oggi il campo da gioco è quello della guerra commerciale, tanto vale imparare a muoversi come si deve. E per le aziende italiane che puntano al mercato Usa, serve una bussola precisa. 

È proprio da questa esigenza che nasce Guida Paese Smart: uno strumento pensato per le imprese italiane che vogliono investire nella regione occidentale degli Stati Uniti. Il progetto è stato promosso dai Consolati italiani di Los Angeles e San Francisco, in collaborazione con il centro studi Octagona e la società di consulenza Bonfiglioli Consulting. La guida analizza undici Stati chiave, dalla California all’Alaska, offrendo una mappa completa di opportunità, rischi, e best practice: tutto ciò che serve per investire nel mercato statunitense a fronte delle nuove politiche commerciali. Affaritaliani.it ne ha parlato con Michele Bonfiglioli, AD di Bonfiglioli Consulting.

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Trump alza il tiro e promette dazi del 50%. Perché questa posizione nei confronti dell’Ue e come potrebbero reagire le aziende?

Nessuno sa esattamente cosa succederà. Io credo che il commercio mondiale sia un fattore ineludibile, vitale per ogni economia e che negli ultimi 25 anni è quadruplicato. È chiaro che questo ha avvantaggiato sia i nuovi Paesi affacciatisi sull’economia globale, sia quelli tradizionali. Quindi nessuno potrà fermare questo trend. Per cui credo che, alla fine, si troverà un compromesso, come al solito di natura politico-economica, che farà in modo che il mercato più importante del mondo, quello americano, resti in qualche modo accessibile ai Paesi stranieri, inclusa l’Europa.

C’è anche un tema sollevato da alcuni commentatori: la volontà degli Stati Uniti di riportare le produzioni sul suolo americano. Il punto è che, per alcune filiere, mancano completamente le competenze e le persone. Chiunque conosca gli Stati Uniti sa che la manodopera qualificata è il problema numero uno per chi produce. Immaginare oggi una crescita industriale significativa negli Stati Uniti appare quindi complicato. Per questo, alla fine, si dovrà tener conto della difficoltà oggettiva di riportare le produzioni in America: in un’ottica di medio-lungo termine è più fattibile, ma allo stato attuale è veramente complicato.

Quali sono le prime tre azioni che un’azienda italiana dovrebbe intraprendere per reagire in modo strategico ai nuovi dazi e alle barriere commerciali?

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Io dividerei tra aziende italiane medio-grandi e medio-piccole, perché si tratta di due realtà diverse. Alcune aziende sanno che gli Stati Uniti sono un mercato ineludibile, e magari sono già presenti con stabilimenti produttivi. In questo caso, la priorità è rafforzare e ampliare queste strutture. Chi invece non è ancora presente, spesso realtà più piccole con l’intenzione di esportare una parte della propria produzione, dovrebbe, almeno per ora, attendere e valutare altri mercati.

Non esistono solo gli Stati Uniti. L’India è un mercato interessante, così come la Cina e la penisola arabica. Sono tutte aree molto dinamiche che potrebbero rappresentare sbocchi naturali, almeno finché la situazione americana non si sarà stabilizzata. Quello che vedo è che le aziende stanno reagendo in due modi: chi ha già un piede negli Stati Uniti, cerca di rafforzare e ampliare la propria presenza; chi non c’è ancora, valuta attentamente se investire in altri mercati almeno nei prossimi due anni.

Bonfiglioli Consulting è partner della guida “Paese Smart” per la West Coast USA. La guida menziona California, Nevada e Washington come poli chiave per le imprese italiane. Che tipo di aziende stanno avendo più successo lì, e perché?

Entrare negli Stati Uniti significa investire. Spesso ci capita di incontrare aziende che, con budget anche importanti, immaginano di avere successo immediato, e poi si sorprendono perché i risultati tardano ad arrivare. Deve essere un investimento ponderato, di lungo periodo.

Ci sono esempi di aziende che hanno adottato questa visione, come Eurostampa e Dainese, che hanno deciso di investire perché il mercato era promettente, e hanno ottenuto risultati entusiasmanti. Eurostampa, ad esempio, è presente sia sulla West Coast che sulla East Coast con due stabilimenti molto importanti: parliamo di un’azienda che si avvicina ai 500 milioni di euro di fatturato.

Quali consigli darebbe alle imprese? Ha davvero senso “mettere il piede” sul suolo americano?

Io credo che, soprattutto per le aziende non di dimensioni enormi, la chiave sia il focus e la profondità. Focus su una nicchia di mercato ben definita, che può essere geografica, di prodotto, o di canale distributivo e grande profondità in quella nicchia: quindi soluzioni, prodotti di alta qualità, oppure macchinari molto performanti.

Il mondo è grande per tutti, ma non si può fare tutto ovunque. Bisogna essere focalizzati e andare in profondità, in un contesto di competizione ormai globale. Nessuno dice che bisogna fare tutto: l’importante è far bene quello che si sceglie di fare.

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Secondo lei il “fattore italiano”, il marchio Made in Italy, è ancora un vantaggio reale nei mercati esteri?

Sì, ma in modo molto più consapevole e meno macchiettistico. Il saper fare italiano è ampiamente riconosciuto anche nella meccanica, nei settori avanzati come quello dei macchinari. Esiste un Made in Italy fortissimo anche nella tecnologia di alto livello, ben oltre i settori classici come moda, cibo o ristorazione.

Che ruolo ha oggi un consulente industriale: è più uno “scudo” contro le crisi o “bussola” per nuove rotte internazionali?

Il ruolo è quello di far vedere la realtà, non il sogno. Essere un misuratore della realtà. L’imprenditore, per natura, e lo dico con grande ammirazione, è iperottimista, iperproiettato verso soluzioni ambiziose. Il nostro compito è aiutare a realizzarle con una dose di buon senso, supportata da numeri, esperienza e casi analoghi. 

E qual è l’errore più comune che vede commettere nelle imprese quando cercano di internazionalizzarsi?

La sottovalutazione dei costi. Non solo quelli diretti, come nuove assunzioni o investimenti, ma anche quelli indiretti. Spesso c’è l’illusione di poter ottenere risultati importanti con poche risorse. Questo è, a mio avviso, l’errore più frequente.

Cosa potrebbe, nei prossimi mesi, davvero rimettere in moto la fiducia nel commercio globale in questo momento?

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Questa politica economica non sta portando grandi risultati né negli Stati Uniti né in Europa. Anzi, questo stallo oggettivamente sta danneggiando l’economia più negli Stati Uniti che in Europa, e sta avvantaggiando economie del Far East. Prima o poi, questo sarà chiaro: si arriverà a un compromesso. Credo che sia solo questione di qualche mese. In questa situazione, l’ottimismo deve restare. Il mondo è grande, ma a volte abbiamo una visione troppo ristretta, quasi al singolare. In realtà ci sono molte opportunità, mercati e possibilità di espansione che continuano a crescere.





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