
Con l’ordinanza n. 13361/2025, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di sopravvenienze attive stabilendo che, se esse derivano dal riconoscimento di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente) in sede giudiziale, le medesime “devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e sempreché l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa”.
La vicenda sub specie traeva origine dalla impugnazione dell’avviso di accertamento che procedeva alla rideterminazione del reddito di partecipazione imputato al contribuente in qualità di socio di due società.
Il provvedimento de quo era stato notificato alla società madre in veste di partecipata dalle due predette imprese e costitutiva l’antecedente causale dei successivi atti impositivi emessi “a cascata”.
Il reddito della società-madre, in particolare, era stato rettificato, sul rilievo dell’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per gli anni d’imposta 2007 e 2009, costituite da somme che essa aveva corrisposto, in un primo tempo, ad un istituto di credito in virtù di un rapporto di conto corrente, e delle quali era stata successivamente ordinata in giudizio la restituzione poiché concernenti debiti per interessi a tasso anatocistico.
Il ricorso veniva accolto in primo grado per poi essere confermato in appello.
In sede di legittimità, il Collegio ha accolto il ricorso proposto dall’Erario e, decidendo nel merito, ha rigettato l’originario ricorso del contribuente.
In esordio, la Corte ha osservato che, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale, una sopravvenienza attiva dev’essere sottoposta a prelievo con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza.
Rileva, a tal fine, il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, ovverosia il momento in cui “si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno” della stessa.
Dunque, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discenda dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella vicenda in esame) occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento.
Ciò posto, precisa la Suprema Corte che sussistono vicende nelle quali la venuta ad esistenza delle sopravvenienze attive, ancorché certe e determinate nel suo ammontare, non coinciderebbe con il suo conseguimento da parte del contribuente, in quanto la circostanza che la determina è, per sua stessa natura, soggetta all’incidenza di un fenomeno ontologicamente ostativo a che essa possa effettivamente concorrere a formare il reddito nell’esercizio di impresa.
Conseguendone che una sopravvenienza derivante rimborso d’imposta non può ritenersi conseguita nel momento in cui il diritto al rimborso viene riconosciuto, bensì soltanto all’esito dell’iter diretto all’emissione del provvedimento di rimborso; procedimento finalizzato all’accertamento dell’inesistenza di debiti d’imposta del contribuente, in presenza dei quali l’ammontare del rimborso già riconosciuto potrebbe ridursi se non addirittura annullarsi.
Ed invero, in tale casistica rientrerebbe anche la sopravvenienza che origina dal riconoscimento di un credito a seguito di provvedimento giurisdizionale.
Inoltre, laddove l’efficacia esecutiva di quest’ultimo sia sospesa nelle more del giudizio di appello o di quello per cassazione (ricorrendo i presupposti ex artt. 283 e 373 c.p.c.) la sopravvenienza attiva non potrebbe certamente ritenersi conseguita nell’esercizio corrispondente, qualora coperto dagli effetti del provvedimento di sospensione.
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