
La finanza sostenibile gioca un ruolo sempre più cruciale nella transizione ecologica, non solo per indirizzare capitali verso progetti a basso impatto ambientale, ma anche per ripensare le strategie aziendali in chiave ESG. Questo tema è stato uno dei protagonisti dell’ultima edizione de Il Verde e il Blu Festival, l’evento promosso da BIP, multinazionale di consulenza, che esplora il rapporto tra innovazione, sostenibilità e impresa attraverso incontri, dibattiti e testimonianze concrete.
Nata nel 2003, oggi BIP conta più di 6.000 professionisti in 13 Paesi e un fatturato che ha superato i 580 milioni di euro nel 2024. La sua forza risiede nella capacità di affiancare le aziende in modo concreto e continuativo, mettendo a disposizione competenze operative e un approccio orientato ai risultati, per accompagnarli nelle sfide della trasformazione e dell’innovazione.
Oggi BIP rappresenta una delle poche multinazionali della consulenza con radici italiane e una vocazione internazionale in forte espansione. In questa intervista a ESGnews, Paola Capitanio, Global Equity Partner Financial Services di BIP, e Alessandro Ciarcia, Global Equity Partner – Head of Financial Services di BIP, spiegano le tendenze che stanno emergendo nel panorama della finanza sostenibile e le soluzioni più promettenti della green fintech.
La sostenibilità ha guidato la vostra crescita sin dall’inizio o è entrata in gioco in un secondo momento?
La sostenibilità è entrata nel nostro business a seguito delle richieste di alcuni nostri clienti, in particolare nel settore dell’energia, la cui esigenza di ripensare il comparto si è manifestata ormai oltre 10 anni fa. Abbiamo così sviluppato competenze interne mirate creando un pool di persone altamente specializzate dedicate ai progetti in ambito transizione energetica e finanza agevolata, strumento fondamentale per accedere a fondi con condizioni agevolate, che hanno dato vita al Center of Excellence Sustainability di BIP
La nostra struttura oggi è organizzata a matrice: da un lato ci sono i mercati, come quello dei Financial Services, dall’altro specializzazioni trasversali, che operano in tutti i settori e paesi, come la sostenibilità che, anche grazie all’acquisizione della britannica VerCo, conta oggi circa 200 esperti nelle tematiche ambientali, sociali e di governance. Questo pool di professionisti ha formato le nuove generazioni su reporting di sostenibilità, green finance e ora anche Green FinTech, consentendoci di offrire soluzioni end-to-end in settori come real estate, asset management, energia.
Qual è il ruolo della finanza sostenibile in un contesto di crisi ambientale, energetica e geopolitica?
La finanza sostenibile, a livello europeo, sta progressivamente assumendo un ruolo centrale nelle politiche nazionali. Le banche, in particolare, si sono evolute oltre la loro funzione tradizionale di intermediari finanziari e agiscono ora come veri e propri catalizzatori per la transizione delle imprese verso il raggiungimento degli obiettivi definiti nell’ambito del Green Deal 2030 delle Nazioni Unite
Quali sono gli strumenti utilizzati dalle banche per stimolare il processo di transizione sostenibile?
I finanziamenti erogati dalle banche nel tempo si sono evoluti: si è passati da strumenti tradizionali a prodotti che incorporano indicatori di performance legati a parametri ESG e che permettono a un’impresa di accedere a migliori condizioni di finanziamento se si impegna a raggiungere specifici obiettivi di sostenibilità.
In particolare, gli strumenti più utilizzati sono i green bond, la cui prima emissione risale al 2007, ancora prima dell’Accordo di Parigi del 2015. Ma è con il Green Deal 2030 che si è verificata un’accelerazione significativa nel settore finanziario. Dalle obbligazioni verdi le banche hanno progressivamente raffinato e ampliato la loro offerta: sono stati inclusi i social bond (per esempio quelli finalizzati al finanziamento di progetti di housing sociale), i mutui e prestiti green (che offrono condizioni vantaggiose a chi acquista immobili con determinate certificazioni energetiche) e i sustainability-linked loans, prestiti legati al raggiungimento di specifici KPI ESG.
Negli ultimi anni poi sono emerse ulteriori nuove soluzioni. È il caso dei transition bond, utilizzati per supportare le aziende cosiddette “hard to abate” ovvero ad alta intensità di carbonio a ridurre le emissioni di CO2, oppure gli strumenti di carbon financing, che utilizzano i crediti di carbonio per finanziare progetti che riducono o rimuovono le emissioni di gas serra. Infine, c’è la blended finance, che combina risorse pubbliche e private per mobilitare capitali su larga scala, favorendo interventi efficaci nel processo di riconversione verso un’economia green.
Come BIP aiutate anche le aziende ad accedere a questi tipi di finanziamenti, suggerendo la struttura più adatta?
Il nostro impegno si estende sia al settore pubblico che a quello privato. Per esempio, abbiamo affiancato la pubblica amministrazione in particolare nella delicata fase di erogazione dei fondi del PNRR, grazie a task force dedicate e specializzate. Il supporto che offriamo si articola su due livelli: da un lato una consulenza strategica, che aiuta a individuare il fondo più adatto alle specifiche esigenze del cliente o del progetto; dall’altro un’assistenza tecnica e documentale, con attività di advisory sui progetti tecnici e sui business case correlati, oltre a verifiche rigorose sulla documentazione e scouting di soluzione tecnologiche innovative disponibili sul mercato
I recenti allentamenti normativi in Europa, accompagnati dal ripensamento degli Stati Uniti verso l’ESG, hanno avuto un effetto sullo sviluppo degli strumenti finanziari orientati alla transizione sostenibile?
Negli Stati Uniti, dove supportiamo le aziende nell’adeguamento normativo e regolamentare, stiamo effettivamente riscontrando un calo delle attività legate ai progetti di transizione in seguito alla svolta della nuova amministrazione. Una tendenza che non avviene in Europa, dove diverse aziende hanno già adottato un approccio sostenibile e questi temi conservano ancora un certo valore. Da questo punto di vista, l’UE potrebbe diventare il mercato privilegiato per gli investimenti delle imprese più attente ai temi della sostenibilità.
In un panorama finanziario che si sta arricchendo anche di nuovi attori, quali tendenze stanno emergendo?
Non sono più soltanto le banche tradizionali a porre maggiore attenzione ai temi della sostenibilità, ma l’intero ecosistema dei servizi finanziari si sta mobilitando per facilitare questa transizione: dalle aziende fintech, ai provider tecnologici e agli istituti di pagamento. Alcuni provider tecnologici e istituti di pagamento stanno contribuendo alla digitalizzazione del settore, promuovendo allo stesso tempo soluzioni sostenibili creando valore condiviso per la comunità. Anche soggetti pubblici stanno trasformando il concetto di pagamento digitale, rendendo semplici e veloci servizi come pagamenti di rette scolastiche, mense e altre attività di base e facilitando quindi l’accesso a servizi digitali anche da parte di cittadini con un basso livello di alfabetizzazione informatica iniziale, ottimizzando al contempo l’efficienza della pubblica amministrazione
Il tema della green finance, quindi, va ben oltre il ruolo delle banche: è un ecosistema complesso e integrato, formato da una molteplicità di attori pubblici e privati, tutti impegnati nella transizione sostenibile e nella costruzione di una cittadinanza digitale più inclusiva.
Accanto alla crescita della finanza green si è sviluppata la green fintech. Quali sono le soluzioni più promettenti in questo campo?
La green fintech è un’area molto promettente perché mette la tecnologia al servizio della sostenibilità, rendendo accessibili e trasparenti strumenti che prima erano riservati a pochi. Permettono infatti di automatizzare la valutazione della sostenibilità, integrare strumenti per il calcolo dell’impronta di carbonio e facilitare l’accesso immediato a prodotti ESG.
É il caso, ad esempio, di piattaforme di investimento che consentono a singoli investitori, anche retail, di destinare i propri fondi direttamente a progetti sostenibili. Oppure delle offerte di alcuni nostri clienti che mettono a disposizione carte di credito che premiano gli acquisti sostenibili con meccanismi di cashback: un modo efficace per incentivare comportamenti virtuosi, legando un beneficio economico a una scelta responsabile. O ancora è il caso di strumenti innovativi che permettono di conoscere l’impatto ambientale delle proprie spese, rendendolo visibile direttamente negli estratti conto. Insomma, tutto questo aiuta le persone ad avere una maggiore consapevolezza che è il primo passo per cambiare davvero i comportamenti.
In che modo il sistema bancario e il fintech stanno evolvendo il proprio ruolo per supportare concretamente imprese e cittadini nella transizione sostenibile, andando oltre gli obblighi di compliance?
Una volta garantita la conformità alle normative ESG, si è iniziato a ragionare in modo più strategico: l’obiettivo è diventato capire come capitalizzare gli sforzi fatti per obbligo e trasformarli in un vantaggio competitivo.
Le banche hanno risposto con interventi su più livelli: organizzativo, operativo, formativo e tecnologico. Hanno dunque creato green desk, unità operative specializzate ad accompagnare le imprese nel loro percorso di transizione sostenibile, con team dedicati ai diversi segmenti di clientela, dalle grandi aziende alle PMI e microimprese.
Sul piano delle risorse umane, sono stati attivati percorsi formativi mirati sui prodotti ESG e sulle tecnologie abilitanti. A livello tecnologico, invece, molte banche hanno avviato collaborazioni con fintech e società terze, per accelerare l’integrazione di soluzioni innovative.
Oggi il ruolo più significativo delle banche è quello di affiancare i clienti nella definizione dei progetti tecnici, nella misurazione dei KPI e nell’accesso ai fondi disponibili. Quindi, oltre a emettere green bond, si stanno configurando sempre più come facilitatori della transizione.
Parallelamente, anche il mondo fintech contribuisce in modo rilevante, con app e piattaforme che promuovono comportamenti sostenibili generando consapevolezza.
La sfida, dunque, si sposta ora sul piano dei costi: quanto siamo disposti a pagare in più per un prodotto o un servizio sostenibile? Se infatti la coscienza sociale è cresciuta, la leva del prezzo continua a pesare dato che oggi, i prodotti green non si caratterizzano per un modello di pricing più conveniente per le imprese o i consumatori seppur rappresentano un veicolo per accedere ai fondi disponibili, e colmare questo gap sarà una delle sfide chiave nei prossimi anni.
Le banche sono sempre più attente alla dimensione ESG, ma hanno anche un ruolo culturale nel contribuire alla trasformazione sostenibile?
Assolutamente sì. Le banche hanno un ruolo culturale e educativo molto rilevante nella transizione sostenibile. In primo luogo attraverso la reportistica contribuiscono a costruire consapevolezza: misurano i risultati dei progetti finanziati, comunicano i parametri ESG adottati e insegnano anche alle imprese quali indicatori saranno rilevanti nella rendicontazione futura. E poi attraverso la valutazione del rischio, elemento cruciale perché, dal momento che, in quanto erogatrici di credito, stanno progressivamente integrando i criteri ESG nei loro modelli di analisi delle controparti, fanno sì che per accedere a determinati finanziamenti, le imprese devono dimostrare di avere avviato un percorso sostenibile. È un meccanismo importante, perché crea un incentivo reale all’adozione di pratiche virtuose.
In questo scenario, blockchain e intelligenza artificiale sono già fondamentali?
Lo sono, perché oggi la blockchain consente di tracciare molte più informazioni rispetto al passato e questo permette di verificare con maggiore certezza che i finanziamenti erogati vengano effettivamente utilizzati per lo scopo dichiarato, soprattutto quando si tratta di iniziative sostenibili. C’è quindi un legame sempre più forte tra la tecnologia blockchain e la tracciabilità degli investimenti, che consente di garantire un utilizzo più corretto e mirato delle risorse finanziarie.
Per quanto riguarda invece il mondo dei big data e dell’intelligenza artificiale, è evidente che la possibilità di gestire una quantità molto maggiore di dati consente di individuare pattern e trend comportamentali. Questi, a loro volta, permettono di prendere decisioni strategiche, ad esempio in ambito di pricing. Ovviamente, il prezzo a cui una banca remunera il denaro, ad esempio tramite un prestito, dipende da numerosi fattori. Grazie ai big data, è possibile comprendere meglio come vengono utilizzati i prestiti e, di conseguenza, definire un pricing più accurato ed efficiente che includa impatti ambientali e sociali.
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