30 Giugno 2025
Le aziende piemontesi collaborano con gli istituti di ricerca, un business da un miliardo di euro


Nel futuro dell’industria piemontese c’è anche la fisica delle particelle, la fusione nucleare, l’astrofisica. Dalle officine del cuneese ai laboratori di Torino, le piccole e medie imprese vedono ormai negli istituti di ricerca internazionali una frontiera di crescita, e trasformano commesse scientifiche in una leva di innovazione e sviluppo.

I bandi a cui partecipano sono firmati da enti come Cnr, Enea, Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf), Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) – parte del network Ilo –, organismi come Fusion for energy (F4e), il Cern di Ginevra o il Fermilab di Chicago, progetti di fusione nucleare come l’International thermonuclear experimental reactor (Iter). Secondo i dati forniti da Camera di Commercio di Torino e Ceipiemonte a metà giugno in occasione di Iod – l’evento creato per fare incontrare pmi ed enti internazionali, – le commesse da questi istituti porteranno a un giro d’affari da un miliardo di euro nei prossimi cinque anni per le aziende italiane.

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Le imprese piemontesi lo hanno capito e vedono in queste collaborazioni molto più che fatturato: contaminazione, spinta al progresso, salvezza dalla crisi. «I legami con gli enti danno impulso all’innovazione e forniscono una base di lavoro protetta dai rischi geopolitici – spiegano a più voci i vertici delle aziende che hanno avviato queste partnership –. Senza la ricerca di base l’industria non potrebbe realizzare progetti avanzati, e la ricerca senza l’industria non potrebbe concretizzare le sue scoperte».

Simic a Camerana e Axist a Rivoli

Tra i pionieri del Nord Ovest c’è Simic, azienda nata negli anni Settanta a Camerana, provincia di Cuneo. Giuseppe Ginola e il socio Ferruccio Boveri hanno iniziato con piccole carpenterie, poi negli anni ’80 hanno investito nella meccanica industriale. «La svolta è arrivata negli anni ’90 con la prima commessa per il Cern di Ginevra – racconta Marianna Ginola, figlia di uno dei fondatori e oggi a capo del Nuclear, Fusion Energy & Research Department di Simic –. Abbiamo realizzato circa 900 camere da vuoto per l’acceleratore Lhc e altre componenti, questo ci ha spinti a investire in risorse, qualifiche e certificazioni del tutto nuove». La collaborazione è continuata nel tempo e a partire dal 2005 Simic è coinvolta nell’Iter, il progetto internazionale con base in Francia per realizzare il reattore a fusione nucleare più importante del mondo. Oggi Simic conta circa mille addetti, tra le officine in Piemonte e Veneto e i cantieri in 13 Paesi nel mondo, e circa il 30% del fatturato deriva dal settore nucleare e dalla ricerca scientifica. Aerospaziale, medicale, energie rinnovabili sono i comparti di punta, e parte del business rimane nell’oil and gas. Nel 2020 l’acquisizione della vicentina Zanon Research and Innovation ha rafforzato la specializzazione in cavità superconduttive per acceleratori, componenti che «solo poche società al mondo sanno realizzare».

A collaborare con Iter sono anche Delta Ti – attiva con F4e, Alenia Aermacchi e il Fermilab di Chicago – e Axist, società torinese che ha trovato negli istituti di ricerca una via d’uscita dal rallentamento dell’automotive. «È stata una migrazione per certi versi obbligata», spiega Luigi Berri, direttore generale. «Il panorama è cambiato, le industrie tradizionali soffrono e i progetti scientifici sono preziosi per reggere agli urti».

Con circa 65 addetti, Axist ha cambiato approccio dieci anni fa. «All’inizio del Duemila l’automotive faceva da padrone, poi è arrivata la crisi». Oggi l’azienda collabora con Cern, Inaf e F4e e questa evoluzione ha richiesto un salto qualitativo. «Fino a quel momento non dovevamo inventare niente, le misure venivano fatte in modo sempre simile. Ora si studiano nuovi approcci, si calcolano le incertezze di misura e solo dopo si passa alla parte esecutiva». E il cambiamento ha comportato l’assunzione di ingegneri, tecnici specializzati e laureati, a fronte di una forza lavoro che prima era per lo più composta da diplomati. «Lavoriamo creando scambi tra un settore e l’altro».

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Clp a Borgo San Dalmazzo e Labormet Due a Torino

Il soffio dell’innovazione è arrivato anche in Clp di Borgo San Dalmazzo, nel cuneese, 25 addetti e 4,5 milioni di fatturato. Fondata nel 1973, ha accelerato il business nel 2005 con il reattore a fusione nucleare tedesco Wendelstein 7-X. «Le collaborazioni con gli istituti rappresentano il 10% dei ricavi, ma l’impatto è estremamente più sfidante», spiega l’amministratore Luca Giordano. «Serve una struttura non classica per concorrere ai bandi, ma i benefici sono enormi e se un progetto viene finanziato, non soffre le crisi». Un’altra storia di crescita viene da Labormet due, fondata nel 2012 a Torino con otto dipendenti. Si occupa di tomografia industriale e fino al 2013 puntava sui servizi con tomografi da centinaia di migliaia di euro. «L’interesse era parecchio, ma la possibilità di investire anche per i grossi gruppi era limitata», spiega il fondatore Riccardo Girelli. Ora le collaborazioni con enti come Politecnico, Infn e Cnr costituiscono il 25% del fatturato ma hanno creato legami strategici. «Essere settati per rispondere a esigenze internazionali ha elevato il nostro livello medio», dice Girelli. La collaborazione con Newcleo ha fatto balzare i ricavi dai 2 milioni ai 3 milioni previsti, e l’azienda è presente anche in Arabia Saudita.



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